• Nem Talált Eredményt

T A LMA H USZTHY IN V ÁGI

In document Imre Barna (Pldal 169-179)

prima di tutto non in una traduzione completamente nuova, quanto piuttosto nel-la revisione delle versioni preesistenti in lingua nel-latina1. La corruzione testuale in-fatti – dovuta in parte alle tantissime trascrizioni, ma prima di tutto al poco affida-bile lavoro dei traduttori, in maggioranza anonimi – risultò presto evidente ai dot-ti, e prima di tutto al papa stesso, Damaso II, che di conseguenza voleva che si ese-guisse una revisione del testo sacro in base alla traduzione considerata ispirata, cioè ai Septuaginta (per l’Antico Testamento)2.

La nuova Bibbia latina di san Girolamo,la Vulgata, dispone a sua volta di un numero altissimo di testimoni (purtroppo si tratta però di una tradizione priva di testimoni di alto grado dal punto di vista dell’antichità: i primi possono essere da-tati infatti al VI sec.), e di conseguenza non sappiamo per esempio quali varianti la Vulgata circolarono nell’Italia medievale (sarebbe importante perché si tratta del-la futura base di quasi tutte le versioni in volgare italiano).

Mentre nell’Antichità e persino sul suo finire tradurre la Bibbia era incoraggiato dalle massime autorità (fu eseguita la traduzione della Bibbia in greco, in aramaico, in latino, in armeno e in germanico-gotico, allo scopo di propagare la diffusione del Cristianesimo nell’intero mondo mediterraneo e medio-orientale), l’Alto-Medioevo risultò da questo punto di vista un periodo molto meno produttivo. Alla fine dell’-VIII sec., il progetto di centralizzazione da parte del potere portò con sé la canoni-cità rafforzata delle versioni esistenti in greco e in latino e, allo stesso tempo, l’osti-lità da parte della Chiesa Romana nei confronti delle traduzioni nelle diverse lingue.

Ma le autorità laiche ed ecclesiastiche, soprattutto nei territori europei, erano costrette ad affrontare anche un altro problema: il latino della Bibbia non era più compreso non solamente dalla maggior parte dei credenti, ma nemmeno da molti ecclesiasti-ci, e non solo nelle zone in cui il vernacolo era molto lontano dal latino (per es. in In-ghilterra e in Germania), ma persino nelle zone romanze, dove piano piano la gen-te doveva rendersi conto di non parlare più il latino, o almeno quello classico.

Nella Penisola Italiana, dove la diglossia (latino ↔volgare) era presumibilmente meno sensibile e la vicinanza del centro ecclesiastico in compenso di grande effet-to, i primi manoscritti biblici in volgare risalgono infatti ad un periodo relativamente tardo, al XIV secolo. Questi volgarizzamenti si localizzano nell’Italia centro-setten-trionale, più precisamente una stragrande maggioranza di essi nell’area toscana (da dove proviene anche la maggior parte dei testimoni), e nel Veneto.

U

N A V E R S I O N E I N V O L G A R E I T A L I A N O D E I

V

A N G E L I Nel quadro della formazione dottorale mi sono prefissata per obiettivo l’edizione critica e il commento linguistico complessivo di una versione in volgare italiano dei soli Vangeli del XIV secolo finora del tutto inedita. Come primo passo si è indivi-duato un gruppo di manoscritti all’interno del corpus delle compilazioni evangeli-che in volgare italiano finora conosciute3, in base a caratteristiche, come la simile tipologia libraria (si tratta di una traduzione dei soli Vangeli – non accompagnata da altri testi, né da altri libri biblici – che risulta così una configurazione di

assolu-2.2009 NC

ta rarità in questo periodo) e la natura della traduzione stessa (traduzione con un’ab-bondante quantità di glosse interne al testo: la particolarità e la frequenza-quantità delle glosse presenti nei manoscritti esaminati escludono la possibilità della loro ap-parizione autonoma nei singoli codici): sono molto probabilmente i testimoni og-gi conosciuti di un volgarizzamento anonimo del Basso-Medioevo, il cui oriog-ginale era andato perduto. Questo volgarizzamento sarebbe stato preparato da un religioso – è questo che suggerisce la correttezza della traduzione e la natura della glossatu-ra (ci ricorrono molti elementi tglossatu-radizionali), e presumibilmente eglossatu-ra destinato ad un pubblico devoto e laico, al massimo ai membri degli ordini inferiori4.

Conformemente al percorso classico degli studi filologici e dell’edizione criti-ca dei testi, dopo lo studio introduttivo dei singoli manoscritti il lavoro effettivo (cioè eseguito direttamente sui testi) è cominciato con la cosiddetta collazione: la tra-scrizione parziale, ma allo stesso tempo sistematica, del contenuto dei cinque te-stimoni. Grazie ai risultati di questo processo di lavoro, la tradizione di questo vol-garizzamento anonimo toscano sembra delinearsi in modo abbastanza sicuro. Pri-ma di tutto il fatto che i codici in questione appartengano ad un gruppo ben isola-to nel quadro non solo di una tradizione molisola-to nota e vasta – si tratta infatti dei Santi Vangeli – ma anche nel quadro di un corpus molto più ristretto – cioè dei volgariz-zamenti italiani manoscritti –, risulta a questo punto dimostrato.

Prima di vedere i cinque testimoni vorrei premettere una differenza fondamentale tra la filologia classica e la filologia detta romanza che sta nel modo di accedere al-l’oggetto di studio: dobbiamo infatti uscire dal quadro dei criteri della filologia clas-sica, che ha cioè come oggetto di studio testi antichi e la loro tradizione, e bisogna pren-dere in considerazione prima di tutto un diverso atteggiamento dei copisti medieva-li nei confronti del testo tramandato: loro infatti sembrano avere avuto l’abitudine di intervenire sui testi con molta più facilità. Se nella tradizione classica il copista si sen-tiva in qualche modo estraneo al testo su cui lavorava e ne aveva il massimo rispetto, e quindi in relazione alla filologia classica si può parlare di una certà stabilità della tra-dizione del testo ricostruibile in base alle corruttele evidenti, nel caso della filologia romanza bisogna piuttosto parlare di tradizione attiva5, ovvero il copista in un certo modo ricrea il testo che ha davanti a sé considerandolo attuale, cioè aperto.

Ora gli interventi – come il cambio dell’ordine delle parole, le oscillazioni tra preposizioni, pronomi o anche forme verbali, certe omissioni o aggiunte – vanno spesso interpretati non come preziose testimonianze di affinità tra testi, ma come congetture e innovazioni di ogni genere, introdotte da uno o dall’altro amanuense (o anche da più copisti indipendentemente) con l’intenzione di rendere migliore, magari di attualizzare il testo trasmesso. La trasmissione delle opere romanze è di-versa da quella dei testi antichi in latino anche sotto un altro punto di vista: essa è in genere anteriore non all’affermazione, ma al consolidamento e alla canonizza-zione di una data vulgata. Di conseguenza, ci sembra quasi naturale che questi co-pisti, invece di impiegare la massima precisione nel riprodurre fedelmente le paro-le, ricorressero a cambiamenti non solo al livello della veste grafica – i fatti di orto-grafia e pronuncia sono essenzialmente propri di ciascun copista – ma anche al li-vello della morfologia e della sintassi.

2.2009 NC

2.2009 NC

Vediamo ora i testimoni in ordine cronologico:

1. il Corsiniano1830, è conservato nella Biblioteca Corsiniana di Roma: è acefalo, rimangono tuttavia quasi intero il Vangelo di Luca e completo quello di Giovan-ni. La scrittura in gotico su palinsesto risale al XIV secolo. In base alle sue pecu-liarità, questo testimone dispone di una posizione importante nello stemma ab-bozzato: sarebbe quella più vicina all’archetipo. A parte una lieve caratteristica conservatrice (l’ordine delle parole6, che richiama a volte quello latino, ed alcu-ne lezioni adiafore7, cioè innovazioni individuali al livello del lessico), si isola dal resto della tradizione soltanto per la sua correttezza: presenta infatti in assoluto il numero minore di errori di qualsiasi tipo. Il fatto che è acefalo, quindi privo dei due Vangeli interi di Matteo e Marco e dell’inizio del Vangelo di Luca, impedisce invece che il testo di questo testimone sia la base dell’edizione critica.

2. il LaurentinoPal. 3 si conserva nella Bibl. Medicea Laurenziana di Firenze: è car-taceo, in minuscola gotica fortemente corsiva con alcuni tratti di mercantesca, della seconda metà o della fine del XIV sec. Dal punto di vista del contenuto, ri-sulta denso di innovazioni individuali8ed allo stesso tempo assai scorretto: l’i-nesperienza del trascrittore si rivela specialmente nel commettere molti errori pa-leografici (andado (Laur. I,6): manca il trattino abbreviativo).

Possiamo inoltre trovare fraintendimenti9commessi da parte del copista. Eppu-re – per la sua posizione nello stemma – saEppu-rebbe il testimone più adatto per risa-lire alla lezione originale.

3. il SeneseI.V.4 della Bibl. Comunale degli Intronati: è cartaceo, in scrittura testuale, più esattamente in semigotica o preumanistica corsiva, databile tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo. Il copista di questo manoscritto è in generale quello più disattento e scorretto: ci figura il numero più alto in assoluto di parole scritte in modo impreciso (dssongli (S. III,12)), omeoarchia10, lacune11, ... .

Inoltre, si rivela non molto intelligente: sembra che tenda a riprodurre material-mente i gruppi di lettere del suo esemplare piuttosto che a cogliere il senso di ciò che scrive: quindi nascono molti fraintendimenti12.

4. il Riccardiano1787 della Bibl. Riccardiana di Firenze: è su pergamena, in scrittu-ra testuale tarda, della metà del XV sec. Per quanto riguarda la correttezza, questo esemplare si situa più o meno al livello del precedente testimone senese: abbon-da infatti in errori dovuti non solo alla disattenzione del suo copista (parole scrit-te in modo impreciso, errori di paleografia, omeoarchia13), ma anche al suo livel-lo d’intelligenza (sostituzione del più noto al meno noto14, salto per omeoteleu-to15). Per quanto riguarda le innovazioni individuali del copista, sarebbe stato me-glio non introdurle: conducono infatti ad un minor grado di comprensibilità.

5. il Perugino1086 della Bibl. Comunale Augusta: in gotica testuale, dalla fine del XV sec.; su un fondo linguistico toscano si insericono tratti dialettali umbri. Fin dagli esami preliminari, risulta chiaro che il testimone più tardo si differenzia – isolandosi sia qualitativamente che quantitativamente – dagli altri quattro. In que-sto manoscritto sono riconoscibili infatti tratti assai precisi di un eventuale ri-scontro (diretto o mnemonico) sul testo latino16(un modello senza glosse), che del resto pare essere condotto in forma estensiva, se non sistematica (salti di glos-se, all’interno di glosglos-se, salti per evitare parole esenti anche dal testo latino, ma anche di parole presenti nel testo latino!17). Si tratta quindi di un testimone spe-ciale con inoltre moltissime variazioni individuali a tutti i livelli, dalla fonologia alla sintassi.

Per la collazione è stato adoperato come riferimento – cioè esemplare di collazione a cui paragonare le altre lezioni (convergenze e divergenze) – il Laur., dato che il Cors.

e il Per. risultano indipendentemente isolati rispetto agli altri sotto vari punti di vi-sta, poi il Sen. e il Ricc. per la notevole scorrettezza del loro contenuto. Il testo – per la sua logica interna – è stato diviso in versi (secondo l’autentica distribuzione del testo sacro): in prima riga di ogni segmento appare il testo latino cui segue l’esem-plare di confronto (Laur.), mentre degli altri testimoni vengono segnalate soltanto le lezioni che per qualche motivo risultano divergenti. Con parentesi tonde si no-tano infine le diverse lacune (cioè omissioni considerate erronee).

– un esempio tratto dalla collazione:

2.2009 NC

Come vediamo, la collazione serve sia a dare un’immagine sulla lingua dei te-sti che a scoprire varianti e, infine, errori dovuti ai diversi copite-sti, deviazioni che co-stituiscono gli unici veri e propri indizi per poter abbozzare lo stemma codicum, la rappresentazione simbolica dei rapporti fra i codici che tramandano l’opera in que-stione – nonché quelli tra essi e i loro capostipiti perduti – o, in altre parole, lo sche-ma grafico della storia ipotizzata attraverso cui dall’originale volgarizzamento to-scano sono giunti fino a noi i suoi testimoni oggi reperibili (bisogna chiarire che è stato possibile tracciare uno stemma ideale, dove i vari passaggi intermedi sono in-dividuati in modo approssimativo18).

Si colloca nel punto più alto dello stemma l’autografo / l’originale (O), e a que-sto si unisce con una linea verticale l’archetipo (x) (la tradizione è quindi dotata di un archetipo avendo almeno un errore condiviso da tutti i testimoni19); ai piani in-feriori si indicano con lettere greche minuscole i subarchetipi (non tutti i nostri te-stimoni sono stati copiati direttamente dall’originale O, né dall’archetipo, ma tre di loro si ragruppano in ulteriori famiglie: L S R sarebbero riconducibili ad un testi-mone intermediario perduto (ω) (omeoarchia20, ma anche lacune (cioè ad errori con-giuntivi e sicuramente monogenetici!)21): secondo ramo di tradizione (caratteri-stica secondaria di conferma sarebbe il simile impianto codicologico); S e R a loro volta avrebbero un’antecedente comune (γ) (errori paleografici, lacune22) ugual-mente perduto: →terzo ramo di tradizione: (tesi confermata anche in base alla co-mune veste per la grafica, distribuzione del testo e rinvii marginali); infine, con let-tere maiuscole (sigle) vengono indicati i testimoni superstiti: si vede subito che nes-sun testimone tra i cinque è copia diretta di un altro, ma che appartengono tutti a rami distinti della tradizione: ognuno ha infatti almeno un errore separativo (lacu-ne, ...). La linea tratteggiata mostra infine che la posizione stemmatica di quel

testi-2.2009 NC

mone risulta assai incerta23: P dispone di una certa autonomia all’interno del grup-po stabilito precedentemente: P è quindi in relazione secondaria con C S L R, pri-vo almeno di un errore comune a tutta la tradizione24. P si distingue inoltre per l’o-missione sistematica di glosse comuni al resto della tradizione.

Complessivamente, possiamo dire che le condizioni della critica testuale nel caso di un’opera medievale sono alla volta più incoraggianti e più scoraggianti di quelle che si verificano per le opere dell’Antichità. Sono più incoraggianti perché i testimoni risalgono ad un’epoca molto più vicina a quella dell’autore e dell’opera;

sono più scoraggianti perché i casi di incertezza sono molto più frequenti (le alte-razioni testuali al livello della fonetica, morfologia e persino a quello della sintassi, come ne abbiamo già dato cenno, sono frequenti negli ambienti dei copisti del Bas-so-Medioevo). Nel quadro della filologia di testi romanzi le diverse coincidenze, ol-tre agli errori tradizionali, possono servire solo da materiale di appoggio per la ri-costruzione genealogica della tradizione di un testo25.

C

O N C L U S I O N E

Tutto ciò che abbiamo visto ci rende chiaro quanto fosse problematico l’impresa di farci un’idea su come poteva veramente essere l’opera originale. L’unico mezzo di controllo che abbiamo a disposizione è il confronto dei contenuti dei testimoni su-perstiti, fondandoci sull’idea che diversi copisti – che tramandano uno stesso te-sto – non compiono indipendentemente errori negli stessi luoghi – con la rara ec-cezione in cui, per la difficoltà di una certa parola o espressione, due o anche più scribi possono cadere nello stesso errore (si tratta soprattutto di errori paleografici, di scioglimenti erronei di abbreviature, di scambio tra lettere simili) – e che i copi-sti non ricorrono indipendentemente alle stesse innovazioni. Conformemente a quanto è stato detto, il confronto sistematico del contenuto dei testimoni ci dovrebbe quindi aiutare a risalire alla fonte, all’opera uscita dalle mani dell’anonimo volga-rizzatore. Bisogna però premettere che soltanto la trascrizione dell’intero contenu-to del testimone consideracontenu-to adatcontenu-to a costituire la base dell’edizione critica e il con-fronto continuo di questo testo con quelli degli altri testimoni ci permetterà di ac-certarci di quello che è stato precedentemente detto sulla genealogia di quest’an-tica versione italiana neotestamentaria, finora sconosciuta e mai pubblicata.

B

I B L I O G R A F I A

ALIGHIERID., La Commedia secondo l’antica vulgata, a cura di Petrocchi G., Le Lettere, Firenze 1994, vol. I – Introduzione.

D’ARCOS. A., Principi di critica testuale, Antenore, Padova 1972.

D’ARCOS. A., «Varianti, varianti d’autore, rimaneggiamenti», in: AA. VV., La critica del testo – Stru-menti di filologia romanza, a cura di A. Stussi, Il Mulino, Bologna 1985.

BALDUINOA., Manuale di filologia italiana, Sansoni, Firenze 1979.

NC

2.2009

BARBIM., «Per una nuova filologia italiana», in: AA. VV., Fondamenti di critica testuale, a cura di A.

Stussi, Il Mulino, Bologna 1998., pp. 85-99.

BRAMBILLAAGENOF., L’edizione critica dei testi volgari, Antenore, Padova 1975.

DAINA., «Il problema della copia», in: AA. VV., Fondamenti di critica testuale, a cura di A. Stussi, Il Mulino, Bologna 1998., pp. 165-192.

FRÄNKELH., Testo critico e critica del testo, Le Monnier, Firenze 1983.

INGLESEG., Come si legge un’edizione critica, Caricci, Roma 2006.

MAASP., Critica del testo, Le Monnier, Firenze 1975.

MORESCHINIC., Introduzione alle Lettere di San Gerolamo, Bur Classici Greci e Latini, Biblioteca Uni-versale Rizzoli, Milano 2000, pp. 35-36.

SCHIAFFINIA., Testi fiorentini del Dugento e dei primi di Trecento, Sansoni, Firenze1926.

VANYÓL., Az egyházatyák Bibliája és az ókeresztény exegézis módszere, története, Jel, Budapest 2002.

VARVAROA., «Critica dei testi classica e romanza», in: AA. VV., La critica del testo – Strumenti di filolo-gia romanza, a cura di A. Stussi, Il Mulino, Bologna 1985.

N

O T E

1Cfr. VANYÓL., Az egyházatyák Bibliája és az ókeresztény exegézis módszere, története, Jel, Budapest 2002, p. 167.

2Cfr. C. MORESCHINI, Introduzione alle Lettere di San Gerolamo, Bur Classici Greci e Latini, Biblio-teca Universale Rizzoli, Milano 2000, pp. 35–36.

3Tutte queste compilazioni sono reperite dal recente censimento dei volgarizzamenti biblici me-dievali sulla Penisola Italiana condotto dalla Fondazione Ezio Franceschini. Cfr. L. LEONARDI, «In-ventario dei manoscritti biblici italiani», in: Mélanges de l’École Française de Rome – Moyen Âge – Bibles italiennes, Tome 105-2, 1993, pp. 863–867.

4«Questo è il corpo mio che per voi sarà tradito ad morte; questo fate cioè questo sacramento per memoria di me» cioè della mia morte et paxione. (Laur. XXII,19) [«Hoc est corpus meum, quod pro vobis datur, hoc facite in meam commemorationem.»]

5Cfr. A. VARVARO, «Critica dei testi classica e romanza», in: AA. VV., La critica del testo – Strumenti di filologia romanza, a cura di A. Stussi, Il Mulino, Bologna 1985. p. 157.

6Et subito la lebra si partì. (Cors. V,13) ↔Et subito si partì la lebra. (Laur., S., Ricc., Per.) [Et confe-stim lepra discessit ab illo.]

7Et facto fu grande paura in tucti; et parlavano uno con l’autro dicendo: «Or che cosa è questa che con tanta potesta et virtù comanda ad li spiriti imondi et esconsene?». (Cors. IV,36) ↔Et fatto fu grande pavento in tutti; et parlavano l’un coll’autro dicendo: «Or che cosa è questa che con tan-ta podestan-ta et virtù comanda ad li spiriti maligni et esconsene?». (Laur., S., Ricc., Per.) [Et factus est pavorin omnibus, et colloquebantur ad invicem, dicentes: «Quod est hoc verbum, quia in potesta-te et virtupotesta-te imperat immundisspiritibus, et exeunt?».]

8Et chostui era huomo iusto et timorato, et aspectava la consolasione di Jerusalem. (Laur. II,25) Et costui era huomo iusto et timorato, et aspectava la consolacone d’Israel. (Cors., S., Ricc., Per.) [Et homo iste iustus, et timoratus, exspectans consolationem Israel.]

Et entrando l’angelo da lei cioè nella camera, si le disse: (Laur. I,28) ↔Et entrato l’angelo ad lei cioè nella camera, si·lle disse (S., Ricc., Per.) [Et ingressusangelus adeam dixit:]

9«Eccho il padre tuo et dio che·tti cercavamo tanto dolenti». (Laur. II,48) ↔«Ecco il patre tuo et io che·tti cercavamo tanto dolenti». (S., Ricc., Per., Cors.) [«Ecce pater tuus et egodolentes quaereba-mus te».]

2.2009 NC

10Et diceva: «Alchuni è simile il regnio di Dio, et ad cui lo stimerò simile? [...]». (S. XIII,18) ↔Et di-cea: «Ad chui è simile il regno di Dio, et ad chui lo stimerò simile? [...]». (Laur., Cors., Ricc., Per.) [Dicebat ergo: «Cuisimile est regnum Dei, et cui simile aestimabo illud? [...]».]

«Ad cui simile stimerò il rengnio di Dio? Simile è al fremento che piglia la farina et nascondelo in tre misure di farina, infino che si fermenta tutto». (S. XIII,21) ↔«Ad chui simile stimerò il regno di Dio? Simile è al fermento che l’ piglia la femina et nascondelo in tre mizure di farina, infino che·ssi fermenta tucto». (Laur., Cors., Ricc., Per.) [«Cui simile aestimabo regnum Dei? Simile est fermento, quod acceptum mulierabscondit in farinae sata tria, donec fermentaretur totum».]

11«Jerusalem, (…………), che uccidi li propheti et lapidi coloro che ad te sono mandati». (Laur. XIII,34)

«Jerusalem, Jerusalem, che uccidi li profeti et lapidi coloro che ad te sono mandati». (S., Cors., Ricc., Per.) [«Jerusalem, Jerusalem, quae occidis prophetas, et lapidas eos qui mittuntur ad te».]

12Et appressandosi et vedendo la cipta, pianse sopra di lei et disse: «[...] Et però ora ti sono nascosi negli occhi tuoi» cioè li mali che t’ànno ad venire. (S. XVIIII,41÷42) ↔Et appressandosi et veden-do la cittade, pianse sopra di lei et disse: «[...] Et però or ti sono nascosti dali occhi tuoi» cioè li mali che t’ànno ad venire. (Cors., Ricc., Per., Laur.) [Et ut appropinquavit, videns civitatem flevit super illam, dicens: «[...] nunc autem abscondita sunt aboculis tuis».]

13Et si tosto come Helisabeth udì la salutatione di Maria, il fanciullo che avea il ventre tutto s’alle-grò et quasi saltò dentro nel ventre. (Ricc. I,41) ↔Et si tosto come Helizabeth udì la salutatione di Maria, il fanciulo che avea in ventre tutto s’allegrò et quazi saltò dentro del ventre. (Laur., S., Per.) [Et factum est, ut audivit salutationem Mariae Elisabeth, exsultavit infans inutero eius.]

14«Non temete però che echo ch’io v’annuntio una grande allegreça che fia ad tutto il popolo, però ch’è venuto ad voi oggi il salvatore [...]». (Ricc. II,11) ↔«Non temete però che eccho ch’io v’an-nuntio una grande allegressa che sarà ad tutto il popolo, però che v’è nato ad voi oggi il salvato-re [...]». (Laur., Cors., S., Per.) [«Nolite timesalvato-re: ecce enim evangelizo vobis gaudium magnum, quod erit omni populo, quia natus est vobishodie Salvator [...]».]

15Et tutta la moltitudine del popolo stava di fuori nell’ora dello incenso. (………) Et Çaccharia [...]. (Ricc. I,10÷11) ↔Et tutta la moltitudine del popolo stava di fuori nell’ora del-l’incenso. Et apparveli l’angelo di Dio che stava ad mano ritta dello autare dello incenso. Et Zac-charia [...]. (Laur., S., Per.) [Et omnis multitudo populi erat orans foris hora incensi. Apparuit au-tem illi angelus Domini, stans a dextris altaris incensi. Et Zacharias [...].]

16Et venne ive in spirito nel tempio. Et portando li parenti suoi el fanciullo Gesù nel tempio per fa-re secondo la consuetudine della legge per lui [...]. (Per. II,27) ↔Et venne in ispirito nel tempio. Et mettendo cioè la madre et Joseph li parenti suoi il fanciullo Gesù nel tempio per fare secondo l’u-zansa della leggie per lui [...]. (Laur, Cors., S., Ricc.) [Et venit in spiritu in templum. Et cum indu-cerentpuerum Jesum parentes eius, ut facerent secundum consuetudinemlegis pro eo [...].]

17«[...] et gitteranno te et li figluoli che sono in te, et non lasseranno in te pietra sopra pietra [...]».

(Per. XVIIII,44) ↔«[...] et gitterannoti ad terra te et li tuoi figluoli che sono in te, et non lascieran-no in te pietra sopra pietra [...]». (Cors., Laur., S., Ricc) [«[...] et ad terramprosternent te, et filios tuos, qui in te sunt, et non relinquent in te lapidem super lapidem [...]».]

18I criteri della rappresentazione stemmatica risalgono al manuale di A. BALDUINO, Manuale di filo-logia italiana, Sansoni, Firenze 1979, p. 90.

19Et non trovando da qual parte metterlo per la turba, montarono in sul tecto et missonlo giù (………..) per lo tetto dinansi ad Gesù. (Laur., Cors., S., Ricc., Per. V,19) ↔[Et non invenientes qua parte illum inferrent prae turba, ascenderunt supra tectum, et per tegulas summiserunt eum cum lectoin medium ante Jesum.]

20Et uno li disse: «Signore, or sono si pochi quelli che si salvano?». Et esso disse adlora: [...]. (Laur,

S., Ricc. XIII,23) ↔Et uno li disse: «Signore, se sono così pochi quelli che si salvano?». Et esso dixe

NC

2.2009

I

ad loro: [...]. (Cors., Per.) [Ait autem illi quidam: «Domine, si pauci sunt, qui salvantur?». Ipse au-tem dixit ad illos: [...].]

21[...] et correvano le turbe per udirlo et che·lli curasse dalle loro infermitadi. (………) (Laur., S., Ricc. V,16) ↔[...] et concorrevano le turbe per udirlo et che le curasse dalle loro infir-mitadi. Et esso se n’andava nel diserto et orava. (Cors., Per.) [[...] et conveniebant turbae multae ut audirent, et curarentur ab infirmitatibus suis. Ipse autem secedebat in desertum, et orabat.]

22Et disse ad loro: «Andate et dite ad quella volpe: «Ecco ch’io chaccio le demonia et rendo le sani-tadi oggi et crai cioè il primo et il secondo anno della mia predicatione ’l terzo dì cioè il terzo an-no (……….)» ». (S., Ricc. XIII,32) ↔Et disse ad loro: «Andate et dite ad quella volpe:

«Ecco ch’io caccio le demonia et rendo le sanitadi oggi et crai cioè il primo et il secondo anno del-la mia predicatione e ’l terso dì cioè il terso anno io sarò compiuto» » cioè morto. (Laur., Cors., Per.) [Et ait illis: «Ite, et dicite vulpi illi: «Ecce eiicio daemonia, et sanitates perficio hodie, et cras, et ter-tia die consummor» ».]

23Cfr. A. BALDUINO, op. cit., p. 96.

24(……….) Et tucti si riempierono di timore, dicendo: «Che noi ab-biamo vedute maraviglie oggi». (Cors., Laur., S., Ricc. V,26) ↔Et tucti se stupivano et magnifica-vano Dio. Et furono rempiti de timore, dicendo: «Che maraveglie noi abbiamo vedute oggi». (Per.) [Et stupor apprehendit omnes, et magnificabant Deum. Et repleti sunt timore, dicentes: «Quia vi-dimus mirabilia hodie».]

25Et entrò il diaulo in Juda, che·ssi chiama Scharioctho, uno delli dodici. (Laur., S., Ricc. XXII,3) Et entrò il dyavolo in Giuda, che si chiamava Scarioth, uno delli dodici. (Cors., Per.) [Intravit au-tem Satanas in Judam, qui cognominabaturIscariotes, unum de duodecim.]

Et entrando Gesù cioè per camino se n’andò ad Jerico. (S., Ricc. XVIIII,1) ↔Et entrando Gesù cioè per camino se n’andava ad Jerico. (Laur., Cors., Per.) [Et ingressus perambulabatJericho.]

2.2009 NC

In document Imre Barna (Pldal 169-179)