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L'influsso del cristianesimo sullo sviluppo della lingua ungherese

Come è noto, il popolo ungherese, organizzato in una società tribale patriarcale, si stabili nel bacino dei Carpazi attorno all'896. La cultura e la lingua di quest'epoca possono essere solo ricostruite perchè i primi ricordi scritti sono datati alla fine del X°, inizio XP sec, e strettamente legati alla fondazione di uno stato feudale sul modello europeo e alla conversione dei magiari pagani al cristianesimo, ai contatti con lingue e culture degli stati feudali medievali dell'Europa occidentale. Sicuro è che gli ungheresi portarono con sé una cultura orale caratterizzata in grandi linee dallo sciama-nismo, dal culto dei totem, dall'immagine del mondo dualista, dall'animismo.

La loro scrittura a tacche, simile a quella runica (rovásírás) di origine presumibilmente aramea, fu praticata su legno, cuoio o pietra soprattutto per brevi note di carattere economico e commerciale. Le parole ir 'scrivere', betű 'lettera', presenti nel lessico magiaro prima dell'896, testimoniano del fatto che nell'epoca precedente al cristianesimo, quando fu introdotta la scrittura latina, tra i magiari era diffusa quella a tacche, anche se probabilmente solo pochi eletti come gli sciamani (sámánok, táltosok) sapevano usarla. La tradizione orale antica dei canti sciamanici (sámánének), delle preghiere incantatorie (bájoló imádság), dei canti magici (varázsének), dei canti fu­

nebri (siratóének), dei canti di lavoro (munkadal), dei canti epici (epikus ének), delle leggende totemistiche, dei racconti mitici riguardanti l'origine del popolo, è stata, dopo la conversione al cristianesimo, in parte soffocata in quanto considerata barbara, e in parte integrata nella nuova cultura.

La conversione al cristianesimo ed il fatto che esso diventasse la reli-gione obbligatoria del nuovo stato feudale ungherese, portarono con sé un modo completamente nuovo di vedere il mondo: una mentalità e ideologia che sostennero i cambiamenti sociali in corso curati con grande impegno e interesse dalla chiesa resa sempre più forte sia economicamente, come proprietaria di immensi poderi donati, sia politicamente, appoggiata dal potere reale e dall'apparato statale.

Quindi la magiarità, dopo che tanti secoli prima aveva cambiato la propria identità culturale di perscatori-cacciatori viventi nei boschi per diventare un popolo di nomadi a cavallo, attorno al 1000 ebbe per la seconda volta nella storia un cambiamento di cultura totale. Tutto il mondo spirituale,

1 Nell'epoca della comunità linguistica ostiaco-vogulo-ungherese, gli ugri furono già un popolo a cavallo con la cultura dell'allevamento dei cavalli, prima dei contatti con i turchi (cf.

Mészöly, pp. 83-84, 88-89, 92).

il modo di pensare dovettero cambiare e la nuova religione, che dovette lottare duramente con la tradizione, come dimostrano le ripetute ribellioni per tutto il secolo XP, ebbe il sopravvento.

Oggetto di questo contributo è l'esame del ruolo che la chiesa cristiana ed il latino come veicolo della cultura ecclesiastica occidentale hanno esercitato sulla cultura e più specificatamente sulla lingua ungherese nei secc. X°-XVI°, prima ancora della nascita di una lingua nazionale. Cosa intendiamo come lingua nei secc. X°-XVI°? A quest'epoca la lingua ungherese è l'insieme di fenomeni linguistici di vari dialetti (del resto non molto diversi tra di loro) che viene conservata e tramandata soprattutto per via orale, com'era nell'epoca precedente alla conversione.

I magiari, durante il proprio cammino verso la patria odierna, ebbero contatti con delle popolazioni di religione cristiana, e vennero a conoscere il rito bizantino ancor prima di arrivare al bacino dei Carpazi2. Come sappiamo da István Kniezsa, la terminologia ecclesiastica ungherese per la maggior parte è di origine slovena. Questo fatto fa presupporre un'onda massiccia di missionari sloveni che incontra una popolazione il cui uso linguistico non è del tutto privo di termini religiosi, evidentemente entrati nel lessico prima che Santo Stefano avesse iniziato l'organizzazione della Chiesa. Se infatti la terminologia ecclesiastica facesse parte del lessico ungherese dal momento delle riforme iniziate dal primo re, questa parte del vocabolario ungherese dovrebbe essere di origine per lo più tedesca e moravo-slava, come i fautori di quell'epoca. Tali antecedenti resero più facile e più veloce la formazione di persone nella terra magiara, adatte a diventare, a loro volta, portatori della nuova fede3.

Come conseguenza della conversione al cristianesimo, si formò gradual-mente anche in Ungheria uno strato di clero letterato, portatore della cultura e soprattutto della lingua che la veicola, del latino. Il loro compito di creazione dei testi al servizio della Chiesa avviene soprattutto in latino. Ma l'opera quotidiana del clero si svolge fin dall'inizio tra la gente semplice che sa solo l'ungherese e quindi ben presto si forma una lingua ecclesiastica volgare, prima orale, e poi, presumibilmente abbastanza presto4, scritta.

Questa lingua è rimasta nei primi testi5 scritti in ungherese giunti fino a noi:

2 Cf. l'entrata di elementi di cultura cristiana nel lessico prima dell'896, es. kereszt:

croce, prestito bulgaro-slavo.

3 Sappiamo dalla leggenda di San Gherardo che il vescovo veneziano, quando parte per la zona orientale del paese per portare la fede, ha 10 accompagnatori, di cui 7 sono, con ogni probabilità, di lingua nativa ungherese (siamo attorno al 1000-1050!).

4 Cronologicamente non abbiamo una datazione precisa.

5 Parliamo qui di testi e non delle prime attestazioni di termini ungheresi, cf. szórványok, che si trovano anche in documenti stranieri e sono noti fin dal 950-951: Constantino Profirogenito (imperatore bizantino), A birodalom kormányzásáról: Del governamento dell 'impero (in greco), dove sono presenti una cinquantina di parole, soprattutto nomi propri,

Halotti Beszéd és Könyörgés: Discorso funebre e preghiera (1192-95) (in seguito HB), Ómagyar Mária-siralom: Lamento di Maria in antico unghe-rese (attorno al 1300) (in seguito ÓMS), Gyulafehérvári Sorok: Righe di Gyulafehérvár (attorno al 1310-1320) (in seguito GYS), Königsbergi Töre-dék és Szalagjai: Frammenti di Königsberg (attorno al 1350) (in seguito KTSZ). Queste opere, che con ogni probabilità rappresentano solo i pochi esempi di una produzione scritta in ungherese dell'epoca giunti fortuitamente fino a noi tra le burrasche della storia, mostrano un livello spiccatamente alto di realizzazione in lingua volgare sia come conoscenze linguistiche che stilistiche, relativamente ai tempi in cui furono composte, in relazione alla bellezza, all'effetto prodotto, all'esigenza della forma costruita consapevol-mente nell'unità del contenuto e della forma. Tutto ciò, fosse anche inteso per un cerchio ristretto di creatori e utilizzatori, è da ammirare. Una lingua così scorrevole, espressiva, adoperata con grande maestria e nello stesso tempo con semplicità, un'ortografia così coerente, possono essere ottenute solo attraverso la pratica, che esclude ogni ipotesi che consideri questa pro-duzione come primissimi tentativi scritti in una lingua letteraria in forma-zione. Le strutture linguistiche utilizzate rappresentano uno stadio integrale dello sviluppo storico. Anche la varietà dei generi letterari che si realizzano qui (orazione funebre, predica, sermone, poesia lirica, prosa libera), testi-monia che, sebbene nell'ombra della latinità, la produzione di una cultura ecclesiastica in volgare sia orale che scritta, doveva essere molto più vasta di quanto il numero irrilevante dei documenti ritrovati farebbe presupporre. La logica pure vuole così: la diffusione tra il popolo illeterato non poteva che avvenire in ungherese e soprattutto oralmente. Infatti i primi testi hanno la caratteristica fondamentale comune di essere stati scritti per fissare qualcosa che era destinato all'uso orale: per comunicare o recitare ad alta voce, per cantare insieme, ecc. Il ritmo e la rima che fanno parte organica di questa produzione servono per aumentare, durante la recitazione, l'ispirazione reli-giosa dei presenti.

Quel cambiamento enorme che avvenne gradualmente dalla fine del X°

sec. in poi nella vita economica, nell'organizzazione sociale, in tutta la cultura materiale e spirituale della magiarità, ha lasciato necessariamente delle tracce nella lingua che dovette seguire elasticamente le mutate esigenze. Soprattutto il lessico reagisce in modo sensibile: esso deve riuscire ad esprimere il numero infinito di oggetti e concetti nuovi. Per mancanza di spazio tralasciamo in questa sede l'analisi degli aspetti lessicali, del resto ampiamente trattati nella letteratura specialistica. Ribadiamo tuttavia che il movimento all'interno del lessico è di grande rilievo e arricchisce la lingua notevolmente.

di riferimento ungherese; mentre il più noto szórvány ungherese è il Tihanyi Alapítólevél: La lettera di fondazione dell'Abbazia di Thiany (in latino) del 1055, dove troviamo addirittura una frase intera in ungherese.

Lo sviluppo della cultura, il cambiamento che di seguito rende più veloce il pensiero, l'associazione delle idee, fa sì che la parlata diventi più rapida con i conseguenti cambiamenti fonetici (per es alcuni suoni possono cadere, abbreviarsi o cambiare in modo che, a causa del ritmo, non si debba sforzare la pronuncia). I risultati delle tendenze dello sviluppo fonetico, che pure per mancanza di spazio non vengono riportati qui, rendono l'articola-zione e di seguito la comprensione più chiare. Alla fine dell'epoca che ci interessa, il sistema vocalico è quasi come quello odierno; dal punto di vista estetico come da quello funzionale la lingua ci guadagna.

Nel quadro generale, dei cambiamenti linguistici ci sono delle tendenze che mostrano prettamente l'effetto dell'influsso del latino che diventa l'auto-rità ai dettami della quale è quasi impossibile sottrarsi. I cosiddetti latinismi, che possiamo esaminare attraverso le testimonianze dei testi scritti, si ri-specchiano soprattutto nell'ambito morfosintattico6.

I cambiamenti del sistema morfosintattico sono favoriti dal fatto che non esiste ancora una lingua letteraria nazionale che fungerebbe da stabiliz-zatore7.

Nell'epoca da noi trattata abbiamo una duplice situazione: nei primi ricordi dell'epoca cosiddetta Arpadiana (sec. X°-1301) gli autori, nonostante il fatto che si rifacciano nella loro resa a un originale latino, usano una lingua ungherese naturale, scorrevole, del tutto comprensibile. Non sono infatti, questi primi testi (HB, ÓMS, GyS, KTSz) delle vere e proprie traduzioni, ma piuttosto una resa libera dell'autore, indipendente ed autonoma, di un testo latino in lingua volgare. Nei secc. XV°-XVI°, nell'epoca dei codices, gli scrittori diventano dei traduttori che lavorano con una coerenza severissima nei confronti dell'originale che serve da modello. Questo fa sì che insistano a trasmettere in modo servile non solo il contenuto, ma anche la forma, nei minimi particolari, perfino nelle soluzioni grammaticali, senza badare al fatto che queste possono suonare strane, estranee. Così la lingua dei codices di-venta irregolare, fumosa, difficilmente comprensibile o del tutto incompren-sibile in alcune sue parti8. Le cause di questo distacco tra i due periodi dal punto di vista linguistico sono varie: diverso è il grado di impregnazione del latino nella vita e nella cultura ungherese, come anche il grado di conoscenza

6 Dicendo ciò non vogliamo togliere l'importanza dei prestiti e calchi dal latino nell'am-bito lessicale.

7 Tralasciamo in questa sede, per mancanza di spazio, l'analisi delle tendenze di sviluppo morfosintattico che si verificano nella lingua indipendentemente dall'effetto del latino.

8 In realtà già nei primi testi scritti dobbiamo distinguere tra HB, ÓMS e GYS da una parte che, dato il loro genere letterario (discorso funebre, poesia lirica, prosa libera), permettono un'interpretazione più libera in lingua volgare da parte dello scrittore e il Monitio e parte del KTSZ dall'altra che, trattandosi di formule fìsse della liturgia, sono e devono essere sempre quelle, e qui l'autore deve essere ed è più preciso e fedele all'originale.

dello stesso latino da parte dei creatori dei testi ungheresi, e sopratutto l'atteggiamento verso la lingua, portatrice di una cultura ecclesiastica che più si estende e più va considerata superiore. I primi testi destinati a una recita-zione cercano di mantenere un aggancio con la lingua parlata, mentre i codices servono soprattutto a scopo di lettura. Probabilmente all'inizio i testi latinizzanti non furono nemmeno compresi dal pubblico semplice, ma pian piano ci si abituava, li si comprendeva sempre di più. E poi P incomprensibi-lità contribuiva a creare una specie di mistero da riverire e quindi faceva parte del gioco. Questa situazione in cui l'autorità del modello è illimitata e costringe lo scrittore, con una forza brutale, a sottomettersi completamente, perfino nella grammatica, dura non oltre il XVP sec, dopodiché i latinismi diventeranno più modici e nella lingua si ritroverà una specie di equilibrio tra la parte antica e quella nuova, tra i risultati della resa libera e quelli della traduzione servile : parte dei latinismi saranno sostitutiti da mezzi ungheresi, rimanendo persistenti alcuni che prenderemo in considerazione ora.

1. LA STRUTTURA PASSIVA pare che si sia già formata nell'unghe-rese ancor prima dell'896, anche se la prima attestazione è dell'OMS (attor-no al 1300); se la nascita del passivo (attor-non è imputabile al modello lati(attor-no, il suo uso prolifico nei testi scritti sicuramente lo è. Infatti nella lingua parlata dell'epoca, per quanto ne sappiamo, il passivo è molto più esiguo (v. la testimonianza del Szabács Viadala: Il combattimento dì Szabács del 1476 (in seguito SzV, l'unico testo ungherese relativamente lungo che non si rifa a un'originale latino). Es. dell'uso improprio del passivo: egészségnek meg-gyógyítási orvosoktul kételkedtetik: La guarigione della salute viene messa in dubbio dai medici.

2. Nei codices abbiamo una netta preferenza dell'uso delle costruzioni in cui LA RELAZIONE POSSESSIVA È SEGNALATA ANCHE SULLO SPECIFICATORE (come in latino): così troviamo già nell' HB queste forme: hálálnék haláláal holsz: morirai con la morte delle morti.

3. Ritroviamo i latinismi nell'USO DEI MODI, in particolare del A) CONDIZIONALE nelle subordinate in cui oggi usiamo l'imperativo10. Questo uso si rifa a quello del latino dove, in una frase composta con la subordinata al congiuntivo, se il verbo principale è al passato, la contempo-raneità viene espressa con il preferito imperfetto congiuntivo che coincide formalmente con il condizionale: HB mundoá neki méret nüm ènèjk = monda neki, mért ne ennék [correttamente: egyék] gli disse perchè non doveva mangiare, nel codice Sándor (Sándor-kódex, primo quarto del XVI° sec):

méghagyák neki, hogy többet oda ne mènne [correttamente: menjen] gli lasciarono detto di non andarci mai più. È interessante il confronto con il

9 A parte i testi sacri la cui lingua si arcaizza.

10 Cioè nelle subordinate finali e in quelle oggettivali del discorso indiretto dove queste sono riconducibili a una frase diretta all'imperativo.

SzV dove abbiamo sia l'uso del condizionale che dell'imperativo: ...egy kis halmon — Mègsereglék, hogy beszédet halljon: su una collina — Si unì alla folla per sentire un discorso; cf. ...Az kéneset, ki ott császárt illetné, - Sem

egy köztök azt ne illetné [correttamente: illesse]: Quel tesoro che spetta all 'imperatore - La mano di nemmeno uno di loro lo deve toccare. Sempre latinismo è l'uso improprio del condizionale nelle frasi temporali: nel più antico codice, nel codice Jókai {Jókai-kódex, attorno al 1450): mikort jutott volna [correttamente: jut (ott) vaia] az herre [= helyre], fráter Bernáld lakik vaia egy erdőben: quando giunse a quel luogo, frate Bernardo visse in un bosco; cf. l'uso normale dell'indicativo sempre nel codice Jókai: örül vaia, mikoron hallja vaia ő fìaiat: fu contento quando sentì i suoi figli. Anche l'uso del condizionale nella subordinata oggettivale per esprimere indefi-nitezza sa di latino (in ungherese dovremmo avere l'indicativo): Codi-ce di Vienna {Bécsi Kódex, attorno al 1450): mert hallotta vaia, hogy úr tekéntètte volna [correttamente: tekéntètte vaia] ő népét és adott volna [correttamente: adott vaia] őnekik étkeket: perchè sentì che il signore avrebbe visto il suo popolo e gli avrebbe dato da mangiare. In una frase concessiva troviamo B) l'IMPERATIVO invece dell'indicativo per effetto del congiuntivo latino: codice Nádor {Nádor-kódex, 1508): jóllehet a(p) pokolnak kénj a számtalan és mègmondhatatlan légy ön [correttamente: senza

copula], demaga [mégis]...: sebbene: le pene dell'inferno siano numerose, eppure...

4. Nell'ungherese dell'epoca non mancano le strutture dei TEMPI E MODI NON FINITI (INFINITO, PARTICIPI, AVVERBIO) e la lingua, guidata all'origine da un principio prettamente sintetico, non esita a mettere in atto questi mezzi, le cui condizioni d'uso sono però ben diverse da quelle delle simili strutture morfologiche frequenti del latino, pure sintetico. I traduttori, che non riescono a staccarsi dal modello latino, introducono dei gravi latinismi in questo senso nei testi scritti, che con ogni probabilità non trovano riscontro invece nella lingua parlata. In generale si nota un uso più vasto degli infiniti, participi e gerundio nei codices rispetto alla misura in cui oggi li adoperiamo. Es. dell'uso estraneo dell'infinito al posto di una subor-dinata finale nel codice di Vienna: ...imádván urat, mü nemzetönknek könyörületessé lenni [correttamente: hogy ...legyen] pregando il signore che fosse misericordioso con la nostra nazione; cf. l'uso proprio dell' HB

(1195): vimádjuk mènd szentüküt, hugy legyenek neki segéd uromk színé eleüt: preghiamo tutti i santi che lo assistano davanti al nostro signore. Per tradurre l'infinito passato del latino i nostri traduttori creano perfino una struttura nuova quasi incomprensibilie: codice Jókai: ès lölté volna övét szentnek övétől megfejtett lenni [correttamente: hogy öve a szent övétől elol­

dódott v. el van oldva]: e trovò che la sua cintura si fosse slegata da quella del santo. È molto frequente la traduzione servile della struttura Accusativo con infinito: codice di Vienna: nèm akarlak tégedet hévan megfordulnod

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[correttamente: hogy üres kézzel fordulj vissza]: non voglio che tu debba ritornare con le mani vuote.

7. Danno difficoltà ai traduttori i nomi delle chiese con attributo: S.

Maria de angelis: jőve ...szent Máriához de angelisról valóhoz, lakozik vaia angyalis nevő helyről való szent Máriánál, Angelisi szent Máriához siess, e in generale LE COSTRUZIONI CON L'ATTRIBUTO sulla destra rispetto al nome testa: Krisztus jegyesének, kívánónak felmenni tekélletes életnek méltóságára: alla fidanzata di Cristo che desidera arrivare alla dignità della vita perfetta, dove abbiamo dei risultati molto discutibili.

8. Particolare è L'USO, contrario all'ungherese, DEL PLURALE dopo i quantificatori e le parti del corpo doppie: hétfő bűnök: i sette peccati capi­

tali, ecc.

9. I traduttori cercano di seguire NELLA SINTASSI quello STILE ORATORIO così artificiale che fu tipico dei testi latini, a scapito della co-mprensibilità: Legenda aurea: Erat autem... et... qui... Cui... Cum autem...

Traditus autem... Quo pervenieus... De elemosinis vero... At vero pater...

Quorum cum aliqui... Reversi autem.... Sponsa vero... Cum igitur... Cum autem... Quodfactum... ecc.

Azért ez (az) oka, hogy nagyobb kén nincsen pokolba, mint Istennek színét nem látnia. Kiről úgymond aranyas beszédű szent János: Ha... élőmbe ezökképpen való ként vetendesz,... olyan nagynak nem allójtom... mint ezt, hogy a gonosz bínösök kirekesztetnek a dicsőségös... társaság közül... mert kirekesztetnie az örök jótól és idegönnek lennie azoktól, melyeket az Úristen az űtet szeretőknek szerzett, annyéra nehezítik a ként, hogy ha egyébként semmit nem szenvednének, csak ezön es igön sok volna és kinnyebb volna ezörszer való tűzbe égnie, hogy nem... és... holott... kiről sz. Bemard doctor es igymond... ecc.

Nel valutare il linguaggio dei primi scrittori in ungherese non dubbiano dimenticare quanto diffìcile fosse il loro compito. Il mondo della religione, nella sua totalità, riguarda il piano astratto del pensiero, una sfera più alta ri-spetto a quella materiale, con un bagaglio linguistico del tutto particolare che la lingua ungherese non aveva. Bisognava dunque creare prima di tutto la ter-minologia nuova per l'uso cristiano: poco si poteva riutilizzare dalle tra-dizioni antiche11. Quanto il traduttore si sforzasse e fosse concentrato sui particolari piuttosto che sul testo globale, lo dimostra anche l'esempio in cui nello stesso contesto troviamo sia la morfologia ungherese (ablativo) che quella latina (accusativo) in dipendenza dallo stesso verbo: mondd meg tehát, mìTOL félsz te inkább? Felele [az ördög]: Krisztusnak véréT és kénszenve-déséT: dì dunque, che cosa temi di più? Rispose [il diavolo]: il sangue e la passione di Cristo.

1 ' Un esempio è il caso di imád, roginariamente offrire cibo ali 'idolo, oggi adorare da cui imádkozik: pregare.

Alcuni tratti dei latinismi, e così la maggior parte dei sopraindicati, diventano elementi obbligatori dello stile scritto e la mancata aderenza a queste regole, all'epoca, viene considerato errore stilistico, provincialismo. È altrettanto probabile però che la lingua parlata, per quanto ne possiamo sapere dal numero esiguo dei testi non di traduzione scritti in volgare, non

Alcuni tratti dei latinismi, e così la maggior parte dei sopraindicati, diventano elementi obbligatori dello stile scritto e la mancata aderenza a queste regole, all'epoca, viene considerato errore stilistico, provincialismo. È altrettanto probabile però che la lingua parlata, per quanto ne possiamo sapere dal numero esiguo dei testi non di traduzione scritti in volgare, non