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Come il teatro può diventare apriscatole del mondo

Il teatro, come arte complessa o ibrida in cui si uniscono tutte le altre arti, a molti filosofi e artisti sembrava un mezzo adatto a creare un suolo comune di gnoseolo-gia. L’aspetto gnoseologico degli spettacoli teatrali deriva appunto da quest’ibridi-smo perché i diversi linguaggi artistici uniti riescono ad unire in un unico testo spettacolare le disparate esperienze degli spettatori. Per Rilke, ad esempio, il

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12 Rainer Maria Rilke, Scritti sul teatro, a cura di Umberto Artioli e Cristina Grazioli, Genova, Costa & Nolan, 1995, p. 66.

13 Rilke, op. cit., p. 71.

14 Rilke, op. cit., p. 85.

15 Friedrich Nietzsche, La gaia scienza, Pordenone, Edizione Studio Tesi, 1991, p. 105.

16 Ibid.

17 Brook, op. cit., p. 119.

ma recitato, e quindi lo spettacolo, è capace di rendere visibile la vita sommessa dell’uomo, poiché è “una sorta di esperimento nel quale gli elementi della vita si uniscono entro piccole provette in rapporti simili a quelli che, nella loro straripante incommensurabilità, essi stabiliscono all’esterno”12. Il teatro sognato da Rilke “ri-sveglia tutte le cose, dà loro voci; e ciò che confessa è sempre un canto totale”13. Lo spettacolo teatrale, con la sua forma totale, rende “visibili le minime oscillazio-ni”, “le esperienze più profonde e sottili”14 e, quindi, tutto ciò che è nascosto dietro la strepitosa vita dell’uomo. Nietzsche, da parte sua, parla degli artisti, e soprat-tutto di quelli del teatro, come degli unici che “hanno dato agli uomini occhi e orecchie per udire e per vedere, con un certo piacere, quel che ognuno è in se stesso”15. Il teatro ci insegna “l’arte di poter guardare a noi stessi, da lontano e per così dire semplificati e trasfigurati”16. L’uomo, quindi, con l’aiuto del teatro, può possedere l’ottica necessaria per diventare riflessivo.

Il teatro usa un linguaggio che, come una specie di utensile, riesce ad aprire la vita nascosta dell’essere umano, i suoi sentimenti, i diversi comportamenti e attitu-dini che sembrano essere chiusi e nascosti in un luogo segreto, simile a una scatola di conserva, dove ognuno cerca di celare il nocciolo delle sue scelte e dei suoi sen-timenti. Questa scatola metaforica della vita umana può contenere anche i compor-tamenti comuni di una società o cultura che cerca di conservare le regole e le nor-me etiche tradizionali. La scatola del mondo umano, quindi, è personale e colletti-va nello stesso tempo, ed in lei convivono vecchie e nuove forme dell’esistenza umana di una certa società o cultura. Se Rilke e Nietzsche hanno ragione, il teatro può aprire queste “scatole di conserve”, aiutandoci a capire noi stessi. Nel caso degli Stati multiculturali, però, si deve affrontare un altro problema, quello della coesistenza di scatole culturali molto diverse l’una dall’altra, la cui diversità spesso blocca la comprensione. L’uomo proveniente da un’altra cultura lontana è un enig-ma inestricabile. Come il teatro può essere l’apriscatole del mondo in un ambiente multiculturale? Quale linguaggio teatrale può essere condiviso da diversi popoli?

Quale forma teatrale può unire il Nord e il Sud?

Dal punto di vista del Nord e del Sud è rilevante il lavoro di Peter Brook che, negli anni Settanta, ha fondato a Parigi con Micheline Rozan il Centro di Ricerca Teatrale Internazionale e, con un gruppo di attori provenienti da diversi paesi, ha fatto un lungo viaggio di ricerca e di creazione in Africa. Nel suo libro intitolato Punto in movimento, lo stesso Brook usa il termine “apriscatole”, ma per lui il mondo è l’utensile capace di aprire gli attori, aiutandoli “ad andare oltre le loro ap-parenti possibilità”17. Il pensiero di base della ricerca di Brook era di carattere an-tropologico: “ognuno di noi è soltanto una parte dell’uomo completo, perché

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18 Ibid.

19 Ibid.

20 Cfr. Brook, op. cit., pp. 101–104.

21 Brook, op. cit., p. 120.

22 Ibid.

23 Brook, op. cit., p. 106.

sere umano che avesse raggiunto il massimo grado di sviluppo sarebbe una sintesi di ciò che oggi etichettiamo africano, persiano, inglese eccetera”18. Il suo obiettivo non era quello di fare uno scambio interculturale tra i suoi attori provenienti da culture lontane, e nemmeno cambiare la visione degli spettatori: cercava, invece, una qualità di suoni, movimenti, canzoni e storie che potevano liberare l’uomo da ogni stampo culturale. Un linguaggio, quindi, che potesse essere capito e sentito da ognuno di noi, e che potesse realizzare questa sintesi ideale dell’essere umano.

Nel lavoro di Brook, il mondo serviva da apriscatole per creare un altro apri-scatole, lo stesso linguaggio teatrale capace di aprire da parte sua il mondo celato di diverse persone e culture. Durante lunghi mesi di lavoro in Africa, il gruppo multiculturale di Brook doveva affrontare tre sfide per creare questa nuova forma di teatro. La prima era quella della creazione di una lingua che potesse essere intesa da ognuno. “Scoprimmo che il tessuto sonoro di una lingua è un codice, un codice emotivo, testimone delle passioni che l’hanno forgiato”19. Le lingue scelte erano il greco antico e l’avestico, da cui Ted Hughes creò una nuova lingua, l’Orghast20, che era capace di trasmettere questo codice emotivo. La seconda sfida del gruppo era quella di “misurarsi con il potere dei miti”21, cercando di scoprire “la realtà che si nasconde dietro alla favola” e che possa essere avvicinata alle semplici azioni quotidiane. La terza sfida era quella di “lasciare che il mondo esterno – gente, luoghi, stagioni, ore del giorno o della notte – agisse in modo diretto sugli attori”22. Gli attori dovevano entrare in contatto vivo e concreto con gli spettatori, perché, come dice Brook, grazie a questo contatto “il teatro diventa vita in una forma con-centrata”23. La forma teatrale creata in questo modo era adatta a dire e far vedere tutto quello che le parole e gli schemi culturali non potevano trasmettere.

Negli ultimi decenni, la carta dell’Europa è cambiata molto dal punto di vista culturale. Le grandi città europee stanno diventando multietniche e multiculturali.

Nord e Sud si stanno avvicinando sempre di più e, nel campo del teatro, si sono formati molti gruppi appena conosciuti che cercano la loro strada in questo con-testo culturale. In Italia, per esempio, il “Teatro delle Albe”, che nel 1986 ha sco-perto che la Romagna è “africana” e ha cominciato un lungo lavoro di collabora-zione e di ricerca con gli emigranti senegalesi. Il “Teatro di Nascosto” di Annet Henneman, che lavora soprattutto con rifugiate curde. Il “Teatro Zero” di Giorgio de Gasperi che, dopo un lungo periodo passato in Bosnia Erzegovina, sta comple-tando il suo itinerario in diversi paesi europei, un lungo viaggio di ricerca di una forma ludica d’incontro interculturale e, quindi, la festa teatrale interetnica. Questi gruppi lavorano in diretto contatto con rifugiati, emigranti ed orfani, e cercano di creare nuovi linguaggi adatti ad aprire il segreto mondo dell’essere umano.

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Bibliografia

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1 Emilio Carballido, Teatro para obreros. Antología, México, Editores Mexicanos Unidos, 1985, p. 5.

2 Se encuentra una justificación estructural de esta división en nuestra tesis doctoral inédita (Daniel Vázquez Touriño, La teatralización de la realidad como discurso ético. El teatro de Emilio Carballido, tesis doctoral inédita, Madrid, Universidad Autónoma de Madrid, 2008). Un acercamiento distinto al conjunto de las obras de carácter social de Carballido es el de Jacqueline E. Bixler, Convención y transgresión. El teatro de Emilio Carballido, Jalapa, Universidad Vera-cruzana, 2001. (Título original: Convention and Transgression. The Theatre of Emilio Carballido;

traducción de Ana Koriat.)

3 Jacqueline E. Bixler, “Historia, mito e imaginación constructiva en los dramas históricos de Emilio Carballido”, Literatura mexicana, 2.2, 1991, pp. 353–368 y Bixler, Convención y transgresión... cit.

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Daniel Vázquez Touriño (Brno)

M ÉXICO Y EL VECINO DEL NORTE