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I cinque canti

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(1)

I C I N Q U E C A N T I

FATTI PUBBLICARE NEL 1545

DA VIRGINIO ARIOSTO, FIGLIUOLO DELL' AUTORE.

1

Questi canti non s o n o il principio di un n u o v o p o e m a , poiché non ne rivelano mai l ' i n t e n d i m e n t o e s e m b r a n o più p r e s t o Io s b o z z o di una p a r t e di lavoro cominciato, c h e f o n d a m e n t o e a v v i a m e n t o a uno nuova n a r r a z i o n e . N o n s e g u o n o la m a t e r i a del Furioso

n é ad opera compita volle il P o e t a f r a m m e t t e r l i alle c o s e ivi n a r r a t e , s t a n t e c h è essi d e s c r i v o n o fatti e g u e r r e c h e a v v e n n e r o d o p o la g u a r i g i o n e di Orlando e la m o r t e di A g r a m a n t e , nè h a n n o dai casi antecede nt i dipendenza v e r u n a . Onde noi s i a m o di c r e d e r e , c h e il p o e t a li c o m p o n e s s e nel p r e p a r a r s i la selva di u n vasto p o e m a a n c o r n o n b e n e definito, e li rifiutasse poi, q u a n d o meglio ordinò la tela del racconto e la restrinse alla m o r t e di A g r a m a n t e . E di vero, c o m e f u r o n pubblicati la prima volta, e c o i n è noi ora li p u b b l i c h i a m o , essi a c c e n n a n o ad altri canti c h e li d o v e v a n o p r e c e d e r e e c h e n o n si rinvennero, coni' era da s p e r a r e , tra gli altri scritti in p e n n a del p o e t a . Di più, molti particolari della lor n a r r a z i o n e s o n o al tutto variati e corretti nel p o e m a compito, donde si v e d e il p e r c h è l ' A r i o s t o li d o v e t t e s c a r t a r e3. E finalmente da molti passi intricati e di n o n giusto sentimento e dallo s t e s s o linguaggio m e n s i c u r o e p o c o a c - c u r a t o si ravvisano scritti di p r i m o inchiostro e c o m e s u o l e a p p u n t o gettarli nella carta chi, riscaldato nel c o n c e t t o di u n g r a n d e lavoro, p e r m i s u r a r e quasi le p r o p r i e forze, n e v i e n e versificando q u a e là a l c u n e parti, non importa se a principio, nel c o r p o , od in fine d e l l ' a - zione, e se r i s p o n d e r a n n o o n o n r i s p o n d e r a n n o al tutto i n s i e m e .

CANTO P R I M O .

ARGOMENTO.

Alcina delle Fate al gran consiglio . Chiede vendetta dell' offeso onore ; E con l'Invidia ria preso consiglio, Move di Gano a tanto effetto il core;

Mentre l'imperator dall' aureo giglio

• Di tutti i suoi guerrier premia il valore : Poi Gano tratto a forza ov* era Alcina, Trama di Carlo al fin 1' alta ruina.

Ma prima che di questo altro vi dica, Siate, Signor, contento eh' io vi mene (Chè ben vi menerò senza fatica) Là dove il Gange ha le dorate arene ; E veder faccia una montagna aprica, Che quasi il ciel sopra le spalle tiene, Col gran tempio nel quale ogni quint'anno L'immortal' Fate a far consiglio. vanno.

Sorge tra il duro Scita e F Indo molle Un monte che col ciel quasi confina, E tanto sopra gli altri il giogo estolle, Ch'alia sua nulla altezza s'avvicina:

Quivi, sul più solingo e fiero colle, Cinto d'orrende balze e di ruina,

Siede un tempio, il più bello e meglio adorno Che vegga il sol, fra quanto gira intorno.

Cento braccia è d'altezza, dalla prima Cornice misurando insin' in terra ;

Altre cento di là verso la cima Della cupola d'or eh' in alto il serra : Di giro è dieci tanto, sei'estima

Di chi a grand' agio il misurò, non erra : E un bel cristallo intero, chiaro e puro, Tutto lo cinge, e gli fa sponda e muro.

Ha cento facce, ha cento canti, e quelli Hanno tra F uno e l'altro eguale ampiezza ; Due colonne ogni spigolo, puntelli Dell'alta fronte, e tutte una grossezza;

Di cui sono le basi e i capitelli

Di quei ricco metal che più s' apprezza ; Ed esse di smeraldo e di zaffiro, Di diamante e rubra splendono in giro.

Gli altri ornamenti, cbi m' ascolta o legge Può immaginar senza eh' io '1 canti o scriva.

Quivi Demogorgon, che frena e regge Le Fate, e dà lor forza e le ne priva,

(2)

Per osservata usanza e antica legge, Sempre eh' al lustro ogni quint' anno arriva, Tutte chiama a consiglio, e dall' estreme Parti del mondo le raguna insieme.

Quivi s'intende, si ragiona e tratta 6 Di ciò che ben o mal sia loro occorso :

A cui sia danno od altra ingiuria fatta, Non vien consiglio manco nò soccorso:

Se contesa è tra lor, tosto s'adatta, E tornar fassi addietro ogni trascorso;

Si che si trovan sempre tutte unite

Contra ogn' altro di fuor, con chi abbian lite.

Venato 1' anno e '1 giorno che raccòrrò 7 Si denno insieme al quinquennal consiglio,

Chi dall'Ibero e chi dall'Indo corre, Chi dall' Ircano e chi dal mar vermiglio ; Senza frenar cavallo e senza porre Giovenchi al giogo e senza oprar naviglio, Dispregiando venian per l'aria oscura Ogni nso umano, ogni opra di natura.

Portate alcune in gran navi di vetro 8 Dai Ber demoni, cento volte e cento

Con mantici soffiar si facean dietro, Che mai non fu per l'aria il maggior vento:

Altre, come al contrasto di San Pietro Tentò in suo danno il Mago, onde fu spento, Veniano in collo agli angeli infernali : Alcune, come Dedalo, avean 1' ali.

Chi d'oro e chi d'argento e chi si fece 9 Di varie gemme una lettica adorna :

Portavano alcuna otto, alcuna diece

Dello stuol che sparir suol quando aggiorna, - Ch' erano tutti più neri che pece,

Con piedi strani e lunghe code e corna : Pegasi, griffi ed altri uccei bizzarri Molte traean sopra volanti carri.

Queste, ch'or Fate, e dagli antichi fóro 10 Già dette Ninfe e Dee con più bel nome,

Di preziose gemme e di molt' oro Ornate per le vesti e per le chiome, S' appresentaro all' alto concistoro, Con bella compagnia, con ricche some, Studiando ognuna ch'altra non l'avanzi Di più ornamenti o d'esser giunta innanzi.

Sola Morgana, come l'altre volte, 11 Nè ben ornata v' arrivò nè in'fretta;

Ma quando tutte 1' altre eran raccolte, E già più d' una cosa aveano detta, Mesta, con chiome rabbuffate e sciolte, Alfio comparve squallida e negletta, Nel medesmo vestir eh' ella avea quando Le diè la caccia, e poi la prese Orlando.

Con atti mesti il gran collegio inchina, 12 E si ripon nel luogo più di sotto;

E, come fissa in pensier alto, china "

La fronte e gli occhi a terra, e non fa motto.

Tacendo I' altre di stupor, fu Alcina Prima a parlar, ma non così di botto;

Ch' una o due volte gli occhi intorno volse, E poi la lingua a tai parole sciolse :

Poi che da forza temeraria astretta 13 Non può-senza spergiur costei dolerse,

Nè domandar, nè procacciar vendetta Dell' onta ria che già più di sofferse ; Quel eh' ella non può far, far a noi spetta, Che le occorrenze prospere e 1' avverse Convien ch'abbiam comuni; e si provveggia Di vendicarla, ancor eh' ella noi chieggia.

Non accade eh' io narri e come e quando 14 (Perchè la cosa a tutto il mondo è piana)

E quante volte e in quanti modi Orlando Con comune onta offeso abbia Morgana;

Dalla prima fiata incominciando

Che 'I drago e i tori uccise alla fontana, Fin che le tolse Zifiante il biondo,

Ch'amava più di ciò ch'ella avea al mondo.

Dico di quel che non sapete forse ; 15 E s'alcuna lo sa, tutte noi sanno:

Più che l'altre sojl' io, perchè m' occorse Gire al suo lago quel medesimo anno : Alcune sue (ma ben non se n'accorse - Morgana) raccontato il tutto m' hanno : A me eh' a punto il so, sta ben eh' io '1 diea, Tanto più che le son sorella e amica.

A me convien meglio chiarirvi quella 16 Parte, che dianzi io vi dicea confusa.

Poi che Orlando ebbe presa mia sorella, Rubata, afflitta e in ogni via delusa, Di tormentarla non cessò, fin eh' ella Non gli fe' il giuramento il qual non s' usa Tra noi mai violar ; nè ci soccorre

Il dir che forza altrni cel faccia tórre.

Non è particolare e non è sola 17 Di lei l'ingiuria, anzi appartiene a tutte ;

E quando fosse ancora di lei sola, Debbiamo unirci a vendicarla tutte, E non lasciarla ingiuriata sola ;

Chè siam compagne e siam sorelle tutte : E quando anco ella il nieghi con la bocca, Quel che il cor vuol, considerar ci tocca.

Se tolleriam l'ingiuria, oltra che segno 18 Blostriam di debolezza o di viltade,

Ed oltra che si tocca al nostro regno - Il nervo principal, la maestade,

Facciam eh' osi di novo, e che disegno Di farci peggio in altri animo cade : · Ma chi fa sua vendetta, oltra chè offende Chi offeso 1' ha, da molti si difende.—

E seguitò parlando, e disponendo ? 19 Le Fate a vendicare il comun scorno :

Chè s'io volessi il tutto ir raccogliendo,

Non avrei da far altro tutto un giorno. ^ Che non facesse questo, non contendo, "• - Per Morgana e per l'altre eh'avea intorno; - Bla ben dirò che più il proprio interesse, Che di Blorgana o d' altre, la movesse.

Lavarsi Alcina non potea da) core, »0 Chele fosse Ruggier così fuggito :

Non so se da più sdegno o da più amore Le fosse il cor la notte e '1 dì assalito ; E tanto era più grave il suo dolore, Quanto men lo potea dir espedito, Perchè del danno che patito aven, Era la fatta Logistilla rea.

(3)

NÒ potuto ella avria, senza accusarla, 21 Del ricevuto oltraggio far doglianza :

Ma perch' ivi di liti non si parla Che sian tra lor, nè se n'ha ricordanza, Parlò dell' onta di Morgana, e farla Vendicar procacciò con ogn' instanza ; Che senza dir di sè, ben vede eh' ella Fa per sè ancor, se fa per la sorella.

Ella dicea, che come universale 22 Biasmo di lor, son di Morgana l'onte,

Far se ne debbe ancor vendetta tale, Che sol non abbia da patirne il Conte, Ma che n'abbassi ognun che sotto l'ale Dell' aquila superba alzi la fronte : Propone ella cosi, così disegna,

Perchè Buggier di novo in sua man vegna.

Sapeva ben che fatto era cristiano, 23 Fatto barone e paladin di Carlo;

Chè se fosse, quel dianzi era, pagano, Miglior speranza avria di ricovrirlo : Ma poi che armato era di fede, in vano Senza l'aiuto altrui potria tentarlo ; Chè se sola da sè vuol fargli offesa, Gli vede appresso troppo gran difesa.

Per questo avea Ber odio, acerbo sdegno, 24 Inimicizia dura e rabbia ardente

Coutra re Carlo o ogni baron del regno,

Coutra i popoli tutti di Ponente ; . Parendo a lei che troppo al sno disegno

Lor bontà fosse avversa e renitente ; Nè sperar può che mai Buggier s' opprima, Se non distrugge Carlo insieme, o prima.

Odia 1' imperátor, odia il nipote, 25 Ch' era l'altra colonna a tener dritto

Sì, che- tra lor Buggier cader non púote, Nè da forza d'incanto essere afflitto.

Parlato eh' ebbe Alcina, nè ancor vóte Bestár d' udir 1' orecchie altro delitto, Chè Ballerina pianse il drago morto, E la distruzion del suo beli' orto.

Poi eh' ebbe acconciamente Ballerina 26 Detto il suo danno e chiestone vendetta,

Entrò 1' arringo e tennel Dragontina Fin che tutt' ebbe la sua causa detta ; E quivi raccontò l'alta rapina Ch' Astolfo ed alcun altro di sua setta Fatto le avea dentro alle proprie case, De' suoi prigion, sì eh' un non vi rimase.

Poi 1' Aquilina e poi la Silvanella, 27 Poi la Montana, e poi quella dal Corso ;

La fata Bianca, e la Bruna sorella, Ed una a cui tese le reti Borso ; Poi GrifTonetta, e poi questa e poi quella (Chè far di tutte io non potrei discorso) Dolendosi venian, chi d'Oliviero,

Chi del figlio d' Amone e chi d' Uggiero :

Chi di Dudone e chi di Brandimarte, 28 Quand' era vivo, e chi di Carlo ¡stesso.

Tutti chi in una e chi in un' altra parte Avean lor fatto danno e oltraggio espresso.

Botti gì' incanti e disprezzata 1' arte A cui natura e il ciel talora ha cesso :

A pena d' ogni cento trovasi una ··.

Che non avesse avuto ingiuria alcuna.

Quelle che da dolersi per sè stesse 29 Non hanno, sì dell'altre il mal lor pesa, -

Che non men che sia suo proprio interesse, Si duo] ciascuna e se ne chiama offesa:

Non eran per patir che si dicesse Che I' arte lor non possa far difesa Contra le forze e gli animi arroganti De' paladini e cavalieri erranti.

Tutte per questo (eccettuando solo 30 Morgana, eh' avea fatto il giuramento

Che mai nè a viso aperto nè con dolo Procacceria ad Orlando nocumento), Quante ne son fra 1' uno e 1' altro polo, Fra quanto il sol riscalda e affredda il vento, Tutte approvar quel eh' avea Alcina detto, E tutte instar che se gli desse effetto.

Poi che Demogorgon, principe saggio 31 Del gran consiglio, udì tutto il lamento,

Disse : Se dunque è general 1' oltraggio, Alla vendetta general consento ;

Che sia Orlando, sia Carlo, sia il lignaggio Di Francia, sia tutto l'imperio spento ; E non rimanga segno nè vestigi, Nè pur si sappia dir: Qui fu Parigi. —

Come nei casi perigliosi spesso 32 Boma e 1' altre repubbliche fati' hanno,

C' hanno il poter di molti a un solo cesso, Che faccia sì che non patiscan danno ; Così quivi ad Alcina fu commesso, Che pensasse qual forza o qual inganno S' avesse a usar ; eh' ogn' una d'esse presta Avria in aiuto ad ogni sua richiesta.

Come chi tardi i suoi denar dispensa, 33 Nè d'ogni compra tosto si compiace,

Cerca tre volte e più tutta la Sensa, . E va mirando in ogni lato, e tace,

Si ferma alfìn dove ritrova immensa Copia di quel eh' al suo bisogno face, E quivi or questa or quella cosa volre, Cento ne piglia,, e ancor non si risolve:

Questa mette da parte e quella lassa, 34 E quella che lasciò di uovo piglia;

Poi la rifiuta e ad un' altra passa ;

Muta e rimuta, e ad una alfìn s' appiglia : Così d'alti pensieri una gran massa Bivolge Alcina, e lenta si consiglia ; Per cento strade col pensier discorre, Nè sa veder ancor dove si porre.

Dopo molto girar si ferma alfine, 35 E le par che l'Invidia esser dee quella

Che l'alto impero Occidental ruine ;

Faccia eh' a punto sia come s' appella : ~ Ma di chi dar più tosto l'intestine . A roder debbia a questa peste fella,

Non sa veder, nè che piacer più al gusto Creda di lei, che '1 cor di Gano ingiusto.

Stato era grande appresso a .Carlo Gano 36 Un tempo si, che alcun non gl' iva al paro ;

Poi con Astolfo quel di Montalbano, Orlando e gli altri che virtù mostraro

(4)

I CINQUE CANTI.

Conlra Marsilio e contra il re africano, Fér si che tanta altezza gli levaro ; - Onde il meschin, che di forno e di vento Tatto era gonfio, vivea mal contento.

Gaoo snperbo, livido e maligno 37 Tutti i grandi appo Carlo odiava a morte ;

Non potea alcnn veder, che senza ordigno, Senza opra sna si fosse acconcio in corte : Sì ben con nmil voce e falso ghigno Sapea finger bontade, ed ogni sorte Usar d'ipocrisia, che chi i costami Suoi non sapea, gli porria a1 piedi i lumi.

Poi, quando si trovava appresso a Carlo 38 (Chè tempo fa ch'era ogni giorno seco),

Rodea nascosamente come tarlo,

Dava mazzate a questo e a qnel da cieco : SI raro dicea il vero, e sì offuscarlo Sapea, che da lai vinto era ogni Greco.

. Giudicò Alcina, com' io dissi, degno Cibo all'Invidia il cor di vizi pregno.

Fra i monti inaccessibili d1 Imavo, 39 Che il ciel sembran tener sopra le spalle,

Fra le perpetue nevi e'I ghiaccio ignaro Discende una profonda e oscura valle ; Onde da un antro orribilmente cavo All' Inferno si va per dritto calle:

• E questa è l'una delle sette porte, Che conducono al regno della Morte.

Le vie, l'entrate principal son sette, 40 Per cai l'anime van dritto all' Inferno ;

Altre ne son, ma torte, lunghe e strette, Come quella di Tenaro e d'Averno : Questa delle più usate una si mette, Di che la infame Invidia avea il governo:

> A questo fondo orribile si cala Subito Alcina, e non vi adopra scala.

S'accosta alla spelonca spaventosa, 41 E percote a gran colpo con un'asta

Quella ferrata porta, mezzo rosa Da' tarli e dalla ruggine più guasta.

L'Invidia, che di carne, venenosa Allora si pascea d'una cerasta, . Levò la bocca alla percossa grande

Dalle amare e pestifere vivande.

E di cento ministri eh' avea intorno, 42 Mandò senza tardar uno alla porta :

Che, conosciuta Alcina, fa ritorno E di lei nova indietro le rapporta.

Quella pigra si leva, e contra il giorno Le viene incontra, e lascia l'aria morta;

Chè'l nome delle Fate sino al fondo Si fa temer del tenebroso mondo.

Tosto che vide Alcina cosi ornata 43 D'oro e di seta e di ricami gai ;

Chè riccamente era a vestire usata, Nè si lasciò non eulta veder mai ; Con guardatura oscura e avvenenata I lividi occhi alzò, piena di guai ; g féro il cor dolente manifesto 1 sospiri eh' uscian dal petto mesto.

Pallido più che bosso, e magro e afflitto, 44 Arido e secco ha il dispiacevo! viso ;

L'occhio, che mirar mai non pnò diritto ; La bocca, dove mai non entra riso, Se non quando alcnn sente esser proscritto, Di stato espulso, tormentato e ucciso (Altramente non par ch'unqua s'allegri);

Ha lunghi i denti, ragginosi e negri.

0 degl' imperatori imperatrice, 45 Cominciò Alcina, o delli re regina,

0 de' principi invitti domatrice, 0 de' Persi e Macedoni mina,

0 del romano e greco orgoglio ultrice, 0 gloria a cai nati'altra s'avvicina, Nè sarà mai per appressarsi, s'anco Il fasto levi all' alto imperio franco ;

Uoa vii gente che faggi da Troia 46 Sino all' alte paludi della Tana,

Dove ai vicini cosi venne a noia, Che la spinser da sè tosto lontana;

E quindi ancora in ripa alla Danoia Cacciata fu ddH' aquila romana ;

Ed indi al Reno, ove in discorso d'anni Entrò con arte in Francia e con inganni :

Dove aiutando or questo or quel vicino 47 Incontra agli altri, e poi, con altro aiuto,

Questi ch'ora gli avean dato il domino Scacciando, a parte a parte ha il tutto avuto, Fin che il nome real levò Pipino

Al sno signor poco all' incontro astuto ; Or Carlo suo figliuol l'imperio regge, E dà all' Europa e a tutto il mondo legge :

Puoi tu patir che la già tante volte 48 Di terra in terra discacciata gente,

A cui le sedie or questi or quelli han tolte, Nè lasciato in riposo lungamente;

Puoi tu patir eh' or signoreggi molte Provincie, e freni ornai tutto il Ponente, E che dall' Indo all' onde maure estreme ' La terra e il mar al suo gran nome treme?

Alle mortai grandezze un certo fine 49 Ha Dio prescritto, a cui si può salire ;

Cbè, passandoi, sarian come divine : Il che natura o il ciel non può patire ; Ma vuol che giunto a quel, poi si decline.

A quello è giunto Carlo, se tu mire.

Or questa ogni tua gloria antiqua passa, Se tanta altezza per tua man s'abbassa. —

E seguitò mostrando alta cagione 50 Ch'avea di farlo, e mostrò insieme il modo;

Però eh' avria un gran mezzo, Ganellone, D'ogni inganno capace e d'ogni frodo:

Poi le soggiunse, che d' obbligazione, Facendol, le porrebbe al cor un nodo In suoi servigi sì tenace e forte,

Che non lo potria sciórre altro che morte.

Al detto della Fata, brevemente 51 Diè l'Invidia risposta, che farebbe.

1 suoi ministri ha separatamente,

Che ciascun sa per sè quel che far debbe : Tutti hanno impresa di tentar la gente ; Ognun guadagnar anime vorrebbe : Stimula altri i signori, altri i plebei;

Chi fa li vecchi e chi i fanciulli rei.

(5)

E chi li cortigiani e chi gli amanti, 52 E chi li monachetti e i loro abati:

Qnei che le donne tentano, son tanti Che sariano a fatica noverati.

Ella venir ae li fé' tutti fonanti, E poi che ad un ad un gli ebbe mirati, Stimò sè sola a si importante effetto Sufficiente, e ciascun altro inetto.

E de' suoi brutti serpi venenosi 53 Fatto una scelta, in Francia corre in fretta;

E giugner mira in tempo eh' ai focosi Destrieri il fren la bionda Aurora metta, Allor ch'i sogni men son fabulosi, E nascer veritade se n'aspetta:

Con novo abito qnivi e nove larve Al conte di Maganza in sogno apparve.

Le fantastiche forme seco tolto 54 L' Invidia avendo, apparve in sogno a Gano ;

E gli fece veder tutto raccolto

In larga piazza il gran popol cristiano, Che gli occhi lieti avea Assi nel volto D'Orlando e del signor di Montalbano, Ch'in veste-trionfai, cinti d'alloro, Sopra un carro venian di gemme e d'oro.

Tutta la nobiltà di Chiaramonte 55 Sopra bianchi destrier lor venia intorno:

Ognun di lauro coronar la fronte, Ognun vedea di spoglie ostili adorno ; E la turba con voci a lodar pronte Gli parea udir, che benediva il giorno

Che, per far Carlo a nuli' altro secondo, La valorosa stirpe venne al mondo.

Poi di veder il popolo gli i avviso. 56 Che si rivolga a lui con grand'oltraggio,

E dir si senta molta ingiuria in viso, E codardo nomar, senza coraggio ; E con batter di man, sibilo e riso, S'oda beffar con tutto il suo lignaggio ; Nè quei di Chiaramonte aver più loda, Che li suoi biasmo, par che vegga ed oda.

In questa vision l'Invidia il core 5T Con man gli tocca più fredda che neve ;

E tanto spira in lui del suo furore, Che '1 petto più capir non può nè deve.

Al cor pòn delle serpi la peggiore, Un' altra onde l'adito si riceve,

La terza agli occhi ; onde di ciò che pensa, Di ciò che vede ed ode ha doglia immensa.

Dell'aureo albergo essendo il sol già uscito, 59 Lasciò la vision e il sonno Gano,

Tutto pien di dolor dove sentito Toccar s' avea con la gelata mano.

Ciò che vide dormendo, gli è scolpito Già nella mente, e non l'estima vano ; Non false illusìon, ma cose, vere Gli par che gli abbia Dio fatto vedere.

Da quell'ora il meschin mai più riposo 59 Non ritrovò, non ritrovò più pace :

Dall' occulto veneno il cor gli è roso, Che notte e giorno sospirar lo face : Gli par che liberale e grazioso

Sia a tutti gli altri, ed a nessun tenace,

Se non a' Maganzesi, il re di Francia ; Fuor che la lor, premiata abbia ogni lancia.

Già fuor di tende, fuor di padiglioni 60 In Parigi tornata era la corte,

Avendo Carlo i principi e baroni E tatti i forestier di miglior sorte Fatto, con gran proferte e ricchi doni, Contenti accompagnar fuor delle porte ; E tra' più arditi cavalier del mondo Stava a godere il suo stato giocondo.

E come saggio padre di famiglia, 61 La sera, dopo le fatiche, a mensa

Tra gli operari con ridenti ciglia - Le giuste parti a questo e a quel dispensa ; Cosi, poi che di Libia e di Castiglia Spentasi intorno avea la face accensa, Rondea a' signori e cavalieri merto Di quanto in armi avean per lui sofferto.

A chi collane d' oro, a chi vasella 62 Dava d' argento, a chi gemme di pregio;

Cittadi aveano alcuni, altri castella : ' Ordine alcun non fu, non fu collegio,

Borgo, villa, nè tempio, nè cappella, Che non sentisse il beneficio regio : E per dieci anni fe' tutte le genti Ch' avean patito, dai' tributi esenti.

A Rinaldo il governo di Guascogna 63 Diede, e pension di molti mila franchi,

Tre castella a Olivier donò in Borgogna, Che. del suo antiquo stato erano a'fianchi;

Donò ad Astolfo in Piccardia Bologna : Non vi dirò eh' al suo nipote manchi ; Diede al nipote principe d' Anglante

Fiandra in governo, e donò Brugia e Gante ;

E promise lo scettro e la corona, 64 Poi che n'avesse il re Marsilio spinto,

Del regno di Navarro e di Aragona, La qual' impresa allor era in procinto.

Ebbe la figlia d'Amon di Dordona Da quello del fratel dono distinto;

Le diè Carlo in dominio quel che darle In governo solea, Marsilia ed Arie.

In somma, ogni guerrier d'alta virtute, 65 Chi città,- chi castella ebbe, e chi ville.

A Marfisa e a Ruggier far provvedute Larghe provvisioni a mille a mille.

Se dallo imperator le grazie avute Tutte ho a notar, farò troppe postille : NessuD, vi dico, o in comune o in privato, Partì da lui, che non fosse premiato.

Nè feudi nominando nè livelli, 66 Fur senza obbligo alcun liberi i doni;

Acciò il non scidrre i canoni di quelli 0 non ne tórre a. tempo investigioni, Potesse li lor figli o li fratelli Eredi -far oader di lor ragioni : Liberi furo e veri doni, e degni

D' un re che degno ero d'imperio e regni.

Or,'sopra gli altri, quei di Chiaramonte 67 Nei real doni avean tanto vantaggio,

Che sospirar facean dì e notte il conte Gan di Maganza, e tutto il suo lignaggio :

(6)

I CINQUE CANTI.

Come gli onori -d'un fossero Tonte Dell' altra parte, lor pungea il coraggio ; E questa invidia all' odio, o I' odio all' ira, E l'ira aitine al tradimento il tira.

E perchè, d' astio e di veneno pregno, 68 Potea nasconder male il suo dispetto,

E non potea non dimostrar lo sdegno Che contra il re per questo avea concetto ; E non men per fornire alcun disegno Ch' in parte ordito, in parte avea nel petto, Finse aver voto, e ne sparse la voce, D'ire al Sepolcro e al monte della Croce :

Ed era il suo pensiero ire in Levante 69 A ritrovare il calife d' Egitto,

Col re della Soria poco distante;

E più sicuro a bocca che per scritto, Trattar con essi, che le terre sante Dove Dio visse in carne e fa trafitto, 0 per fraudo o per forza dalle mani ' Fosser tolte e dal regno de' Cristiani.

Indi andare in Arabia avea disposto, 70 E far scender quei popoli all' acquisto

P' Africa, mentre Carlo era discosto, E di gente il paese mal provvisto.

Già innanzi la partita avea composto, Che Desiderio al vicario di Cristo,

Tassillo a Francia, e a Scozia e ad Inghilterra Avesse il re di Dacia a romper guerra;

E che Marsilio armasse in Catalogna, 71 E scendesse in Provenza e in Acquamorta,

E con un altro esercito in Guascogna , Corresse a Mont' Alban fin su la porta:

Egli Maganza, Basilea, Cotogna,

Costanza ed Aquisgrana, che più importa, Promettea far ribelle a Carlo, e in meno D'un mese tórgli ogni città del Reno.

Or fattasi fornir una galea 72 Di vettovaglia, d' armi e di compagni,

Poi che licenza dal re tolto avea, ' Usci del porto e dei sicuri stagni.

Restare a dietro, anzi fuggir parea

Il lito, ed occultar tutti i vivagni: . Indi 1' Alpe a sinistra apparea lunge,

Ch'Italia in van da'Barbari disgiunge:

Indi i monti ligustici, e riviera 73 Che d'aranci e di sempre verdi mirti

Quasi avendo perpetua primavera, Sparge per l'aria i bene olenti spirti.

Volendo il legno ÌD porto ire una sera (In qnal a punto io non saprei ben dirli), Ebbe UD vento da terra in modo all' orza, Ch' in mezzo il mar lo fe' tornar per forza.

11 vento tra maestro e tramontana, 74 Con timor grande e con maggior periglio,

Tra 1' oriente e mezzodì allontana Sei dì senza allentarsi unqua il naviglio.

Fermossi al fine ad una spiaggia strana, Tratto da forza più che da consiglio, Dove un miglio discosto dall' arena D' antiche palme era una selva amena :

Che per mezzo da un'acqua era partila 75 Di chiaro fiumiccl, fresco e giocondo,

Che l'una e l'altra proda' avea Borita Dei più soavi odor che siano al mondo.

Era di là dal bosco ana salita D'nn picciol monticel quasi rotondo, Si facile a montar, che prima il piede D'aver salito, che salir si vede.

D'odoriferi cedri era il bel [colle 76 Con maestrevol ordine distinto ;- - .

La cui bell'ombra al sol sì i raggi tolte, Ch' al mezzodì dal rezzo è il calor vinto.

Ricco d'intagli, e di soave e molle, Getto di bronzo, e in parti assai dipinto, Un lungo muro in cima lo circonda, D'un alto e signori! palazzo sponda.

Gano, che di natura era bramoso 77 Di cose nove e dal bisogno astretto

(Che già tutto il biscotto aveano roso), De' suoi compagni avendo alcuno eletto, Si mise a camminar pel bosco ombroso, Tra via prendendo d' ascoltar diletto Da'rugiadosi rami d'arbuscelli Il piacevol cantar de'vaghi augelli.

Tosto eh' egli dal mar si pose in via, 78 E fu scoperto dal luogo eminente, - -

Diversa e soavissima armonia Dall' alta casa infino al lito sente : Non molto va, che bella compagnia Trova di donne, e dietro alcun sergente Che palafreni vóti avean con loro, Guarniti altri di seta ed altri d'oro ;

Che con cortesi e belli inviti fenno - 79 Gano salir, e chi venia con lui.

Con pochi passi fine alla via denno Le donne e i cavalieri, a dui a dui.

L' oro di Creso, e l'artificio e '1 senno D' Alberto, di Bramante o di Vitrui, Non potrebbono far, con lutto l'agio Di dugent' anni, un così bel palagio.

E dai demoni tutto in una notte 80 Lo fece far Gloricia incantatrice,

Ch' avea l'esempio nelle idee incorrotte D'un che Vulcano aver fatto si dice ; Del qual restaro poi le mura rotte Quel dì che Lenno fu dalla radice Svelta, e gettata con Cipro e con Delo Dai figli della Terra incontra il cielo.

Tenea Gloricia splendida e gran corte, 81 Non men ricca d'Alcina o di Morgana;

Nè meo d'esse era dotta in ogni sorte D'incantamenti inusitata e strana;

Ma DOD, com' esse, pertinace e forte Nell'altrui 'ugiurie, anzi cortese e umana, Non potea al mondo aver maggior diletto, Che onorar questo e quel nel suo bel tetto.

Sempre ella tenea gente alla veletta, 82 A' porti e all' uscita delle strade,

Che con inviti i pellegrini alletta Venir a lei da tutte le contrade.

Con gran splendore il suo palazzo accetta Poveri e ricchi e d'ogni qualitade;

E il cor de'viandanti con tai modi Nel suo amor lega d'insolubil nodi.

(7)

B come avea di accarezzare usanza 83 E di dare a ciascun debito onore,

Fece accoglienza al conte di Maganza Gloricia, quanto far potea maggiore;

E tanto più, che ben sapea ad istanza D' Alcina esser qui giunto il traditore : Ben sapeva ella, eh' avea Alcina ordito Che capitasse Gano a questo lito.

EU' era stata in India al gran consiglio, 84 Dove l'alto esterminio fu concluso

D' ogni guerriero ubbidiente al figlio Del re Pipino; e nessuno era escluso, Eccetto il Maganzese, il cui consiglio, Il cui favor stimaro atto a queir uso : Dunque a lui le accoglienze e i modi grati Che quivi gli altri avean, fur raddoppiati.

Gloricia Gano, com' era commesso 85 Da chi fatto l'avea cacciar dai venti,

Acciò quindi ad Alcina sia rimesso Tra' Sciti e gì' Indi ai suoi regni opulenti, Fa la notte pigliar nel sonno oppresso, E li compagni insieme e li sergenti.

Così far quivi agli altri non si suole, Ma dar questo vantaggio a Gano vuole.

E benché, più che onor, biasmo si tegna 86 Pigliare in casa sua chi in lei si fida,

Ed a Gloricia tanto men convegna, Che fa del suo splendor sparger le grida;

Pur non le par che questo il suo ònor spegna : Chè tórre al ladro, uccider l'omicida,

Tradire il traditor, ha degni esempi, Ch' anco si pón lodar, secondo i tempi.

Quando dormia la notte più soave, 87 Gano e i compagni suoi lutti fur presi,

E serrati in un ceppo duro e grave, L'un presso all'altro, trenta Maganzesi.

Gloricia in terra disegnò una nave Capace e grande con tutt'i suo' arnesi, E fece li prigion legare in quella Sotto fa guardia d' una sua donzella.

Sparge le chiome, e qua e là si volve 88 Tre volte e più, fin che mirabilmente

La nave ivi dipinta nella polve Da terra si levò tutta ugualmente.

La vela al vento la donzella solve, Per incanto allor nata parimente ; E verso il ciel ne va, come per l'onda Suol ir nocchier che l'aura abbia seconda.

Gano e i compagni, che per l'aria tratti 89 Da terra si vedean tanto lontani,

Com' assassini stranamente attratti Nel lungo ceppo per piedi e per mani, Tremando di paura, e stupefatti Di maraviglia de' lor casi strani, Volavan per Levante in sì gran fretta, Che non gli avrebbe giunti una saetta.

Lasciando Tolomaide e Berenice 90 E tutt' Africa dietro, e poi 1' Egitto,

E la deserta Arabia e la felice, Sopra il mar Eritreo fecion tragitto.

Tra Persi e Medi, e là dove si dice Battra, passan, tenendo il corso dritto

•AMCSTO, Orlando Furioso.

Tuttavia fra oriente e tramontana, E lascian Casia a dietro e Sericana.

E siccome veduti eran da molti, Di sè davano a molti maraviglia : Facean tener levati al cielo i volti Con occhi immoti e con arcate ciglia.

Vedendogli passare alcuni stolti Da terra alti lo spazio di duo miglia, E non potendo ben scorgere i visi, Ebbon di lor diversi e strani avvisi.

Alcuni immaginar che di Carone, II nocchiero infernal, fusse la barca, Che d' anime dannate a perdizione Alla via di Cocito andasse carca.

Altri diceano, d' altra opinione : Questa è la santa nave eh' al ciel varca, Che Pietro tol da Roma, acciò nell'onde Di stupri e simonie non si profonde. — Ed altra cosa altri dicean dal vero

Molto diversa e senza fin rimota. . Passava intanto il navilio leggiero Per la contrada a' nostri poco nota, Fra l'India avendo e Tartaria il sentiero, Quella di città piena e questa vota, Fin che fu sopra la bella marina Ch' ondeggia intorno all' isola d' Alcina.

Nella città d'.Alcina, nel palagio, Deatro alle logge la donzella pose La nave, e tutti li prigioni ad agio, E l'ambasciata di Gloricia espose.

Nei ceppi, come stavano, a disagio Alcina in una torre al sole ascose I Maganzesi, avendo riferite Del dono a chi '1 donò grazie infinite.

La sera fuor di carcere poi Gano

Fé'a sè condurre, e a ragionar il messe Dello stato di Francia e del romano, Di quel che Orlando e che Ruggier facesse.

Ebbe l'astuto Conte chiaro e piano Quanto la donna Carlo in odio avesse, Ruggiero, Orlando e gli altri; e tosto prese L'util partito, ed a salvarsi attese.

S'aver, donna, volete ognun nemico, Disse, che della corte sia di Carlo,

He in odio avrete ancora, chè '1 mio antico Seggio è tra' Franchi e non potrei negarlo ; Ma se più tosto odiate chi gli è amico E di sua volontà vuol seguitarlo, Me nou avrete in odio, eh' io non l'amo, Ma il danno e biasmo suo più di voi bramo.

E s' ebbe alcun mai da bramar vendetta Di tiranno che gli abbia fatto oltraggio, Bramar di Carlo e di tutta sua setta Vendetta innanzi a tutti i sudditi aggio;

Come di re da cui sempre negletta La gloria fu di tutto il mio lignaggio, E che, per sempre al cor tenermi un telo, Con favor alza i miei nemici al cielo.

II mio figliastro Orlando, che mia morte Procurò sempre e ad altro non aspira, Contra me mille volte ha fatto forte : Per lui m'ha mille volte avuto in ira :

2 7 - C .

(8)

I CINQUE CANTI.

Rinaldo, Astolfo ed ogni sua consorte, Di giorno in giorno a maggior ' grado tira ; Tal che sicnro, per lor gran possanza, Non che in corte non son, ma nè in Maganza.

Or, per maggior mio scorno, un fuggitivo 99 Dell' infelice figlio di Troiano,

Ruggier, che m' ha un fratel di vita privo Ed nn nipote con la propria mano, Tiene in più ònor che mai non fu Gradivo Marte tenuto dal popol romano :

Tal che levato indi mi son, con tutto U sangue mio, per non restar distrutto.

So me e questi altri che avete qui meco, 100 Che sono il fior di casa da Pontiere,

Uccidete o dannate a carcer cieco, Di perpetuo timor sciolto è l'impero ; Chè ogni nemico suo ch'abbia noi seco, Per noi può entrar in Francia di leggiero ; Chè ci avemo la parte in ogni terra, Fortezze e porti e luoghi atti a far guerra. —

E seguitò il parlare astuto e pieno 101 Di gran malizia, sempre mai toccando

Quel che vedea di gaudio empierle il seno, Che le vuol dar Ruggier preso ed Orlando.

Alcina ascolta, e ben nota il veleno Che l'Invidia in lui sparse, ir lavorando : Comanda allora allora che sia sciolto, E sia con tutti i suoi di prigion tolto.

Volse che poi le promettesse Gano 102 Con giuramenti stretti e d' orror pieni,

Di non cessar, fin che legato in mano Ruggier col suo figliastro non le meni:

Ma per poter non dargli impresa in vano, Oltre oro e gemme e ainti altri terreni, Promise ella all' incontro di far quanto Potea sopra natura oprar l'incanto.

E gli diè nella gemma d'uno anello 103 Un di quei spirti che chiamiam folletti,

Che gli obbedisca, e così possa avello Come un suo servitor de' più soggetti : Vertunno è il nome, che in fiera, in uccello, In uomo, in donna e in tutti gli altri aspetti, In un sasso, in un' erba, in una fonte Mutar vedrete in un chinar di fronte.

Or perchè Malagigi non aiuti, 104 Com' altre volte ha fatto, i Paladini,

Gli spiriti infernal tatti fe' muti, I terrestri, gli aerei' ed i marini ; Eccetto alcuni pochi c'ha tenuti Per uso suo, nou franchi nè latini, Ma di lingua dagli altri sì rimota, Ch'a nigromante alcun non era nota.

Quel eh' alla Fata il traditor promise, 105

f Promiscr gli altri ancor eh' eran con lui.

Fermato il patto, Gano si rimise Nel fantastico legno con li sui.

- Il vento, come Alcina gli commise, Fra i lucidi Indi e li Cimmerii bui

SoffiaDdo, feri in guisa nell'antenna, Ch'in aria alzò la nave come penna.

Nè men che ratto, lo portò quieto 106 Per la medesma via che venuti era ;

Sì che, fra' spazio di seti' ore, lieto Si ritrovò nella sua barca vera, Di pan, di vin, di carne e infin d' aceto Fornita e d'insalata per la sera : Fe' dar le vele al vento, e venne a filo Ad imboccar sotti Alessandria il Nilo.

E già dall'ammiraglio avendo avuto 107 Salvocondotto, al Cairo andò diritto,

Con duo compagni, in un legno minuto Segretamente, e in abito di Egitto.

Dal calife per Gano conosciuto,

Chè molte volte innanzi s'avean scritto, Fu di carezze sì pieno e d' onore, Che ne scoppiò quasi il ventoso core.

In qnesto mezzo che l'Invidia ascosa 108 Il traditor rodea di eh' io vi parlo,

Come 1' altrui bontà fu da lui rosa, Chè poco dianzi il simigliava a un tarlo ; Ira, odio, sdegno, amor facea angosciosa Alcina, e un Ber disio di strugger Carlo;

E quanto più credea di farlo in breve, Tanti ogn' indngio le parea più greve.

Il conte di Pontier le avea narrato, 109 Che prima che di Francia si partisse,

Da lui fu Desiderio confortato, Per ambasciate e lettere che scrisse, Che con Tedeschi ed Ungheri da un lato, Che facil fora che a sue genti unisse, Saltasse in Francia ; e che Marsilio ispano Saltar faria dall' altro, e l'Aquilano. -

E che quel glien'avea dato speranza; 110 Poi venia lento a metterla in effetto,

0 che tema di Carlo la possanza, 0 sia mal di sua lega il nodo astretto.

Alcina che si muor di desi'anza

Di por Francia e l'imperio in male assetto, Adopra ogni saper, ogni suo ingegno, Per dar colore a così bel disegno.

Ed è bisogno al fin eh' ella ritrovi, 111 Per far mover di passo il Longobardo,

Sproni che sieno aguzzi più che chiovi;

Tanto le pare a questa impresa tardo ! E come fece far disegni novi

Dianzi l'Invidia a quel cochin pagliardo ; Così spera trovar un' altra peste

Che '1 pigro re della sua inerzia deste.

Conchiuse, che nessuna era meglio atta 112 A stimularlo e far più risentire,

D'una che nacque quando anco la matta Crudeltà nacque, e le rapine e ti ire.

Che nome avesse e come fosse fatta, Neil' altro canto mi riserbo a dire, Dove farò, per quanto è in mio potere, Cose sentir maravigliose e vere.

(9)

419

DICHIARAZIONI AL PRIMO DE' CINQUE CANTI.

1 L'Ariosto delle pratiche amorose eh' egli ebbe, acquistò due figli maschi, Virginio e Gio. Battista. Virginio crebbe sotto 1' educazione del padre, che gì* insegnò lettere con grandissima cura : egli fu canonico del Duomo di Ferrara.

Gio. Battista fu allevato assai più da' parenti, che dal pa- dre, e andato molto giovinetto al soldo, tornò in Ferrara poco innanti alla morte del padre ; ma prima travagliando nella professione dell' armi s' acquistò nome di molto va- loroso : mori in Ferrara capitano della milizia del duca.

G I R . GAROFALO nella Vita dell'Autore.

3 Nel poema compito Ruggiero è fatto re de' Bulgari, e i Bulgari vi compariscono amici di Carlo e nemici di Co- stantino, il qnale si mostra con Carlo in buona lega ed amicizia. Ne' Cinque Canti, per 1' opposito, Ruggiero vi fa figura di semplice cavaliere di Carlo, e provvisionato da lui ; e Bl'Adamante così non è regina, che anzi ha da Carlo in regalo il dominio d' Arli e di Marsilia. Costantino poi ha Carlo in odio, e gli arma contro ; e fra le sue truppe si contano i Bulgari come sadditi suoi. Gio. ANDREA BAROTTI.

St. 1, ti. 1-8. — Ma prima che di questo eoe. Questa stanza manca in tutte le edizioni, salvo che in quella de' figliuoli d'Aldo 1545 in 4°. Quivi si nota ohe il primo canto difetta del principio. Ma non è così, perchè essen- do questa stanza (come parve anche a Gius. Pezzana) la conchiusione di un' altra parte oggi perduta, il presente canto vuoisi ritenere perfetto.

St. 2, v. 2. — Un monte eco. Parla dell' lutavo. Vedi

l a S t . 3 9 , v . 1 . M O L I S I .

St. 3, v. 5. — L'estima: per lo stesso che stima, esti- mazione, e simili. Proposero quest' aggiunta al Vocabolario gli antecedenti editori ; 1' accettarono i compilatori bolo- gnesi. E così dicasi quanto al senio del verbo soccorrere nella seguente St. 1 5 . P O L I D O R I .

St. 5, v. 3. — Demogorgon : il genio della Terra, o piut- tosto della Natura, da cui qualche antico poeta (vedi Boc- caccio nella sua Genealogia) derivò tatti gli Dei. Altri ne fece un mago potentissimo; e a questo sembra accostarsi l'Ariosto. BAROTTI ; MOLINI.

St. 6, ti. 5 . — S'adatta : si rassetta o racconcia. E - sempio da farne caso. POLIDORO

St. 8, v. 6. — Tentò in suo danno il Mago, onde fu spento. Il Barotti così legge questo verso : Tentò il suo danno il Mago fraudolento. Il Molini annotava : "Allude alla nota storica del volo di Simon Mago, che la critica ha da lungo tempo giudicata apocrifa,,.

St. 11, v. 8. — Orlando. I fatti rammentatati qui e nelle Stanze 14, 16, 25, 26 e 27, sono raccontati dal Boiardo nell' Orlando Innamorato, e possono vedersi nel Berni,

X X X V I I I , 5 e s e g . ; X L I I , 2 3 e s e g . ; X X X I I I , 1 3 e s e g . ; I X , 7 9 e seg., ed altrove. MOLINI.

St. 17, ». 6. — Siam sorelle tutte. Può notarsi la rima r i n t e r z a t a in questi sei versi con u n a stessa p a r o l a e in u n significato medesimo. POLIDORI.

St. 18, ». 5. — Faeciam eh' osi. Leggesi nel Barotti : eh' osin ; senza che da ciò venga luce a questi versi, p e r sè non ben chiari, ove invece di animo, n o n vogliasi cor- reggere animi: onde scenderebbe naturalissima la spiega- zione : Facciamo che 1' offensore osi di nuovo offenderci, e c h e in altri animi cada il disegno di farci peggio : spie- gazione che molto sarebbe, al mio credere, giustificata dalle parole chi offeso ha e da molti dell' ultimo verso. POLIDORI.

St. 20, ». 2. — Ruggier cosi fuggito. Vedi 1' Orlando Furioso, Canti VII e X.. MOLIMI.

St. 22, ». 6. — Dell' aquila superba: sotto la protezione di Carlo imperatore. P O L I D O R I .

St. 30, ». 6. — Affredda il vento. Esempio notabile.

(Questa forma useremo ogni volta che ci accada richia- mar l'attenzione di quelli che compilano vocabolari.) PO-

LIDORO ' ^

St. 32, ». 4. — Non paliscan danno. E la traduzio- ne della formula : Ne quid respublica detrimenti capiat.

MOLIMI.

St. 33, ». 3. — Sensa: nome di una fiera famosa di

Venezia per la festa dell' Ascensione. Ercole Bentivoglio si valse ancor egli di questa voce ad esprimere quella fiera nel sno Capitolo della lingua Tosca : Che mi legar quando vi vidi in Senso. B A R O T T I .

St. 35, v. 4-8. — Come s' appella : giuoco di parole sulla voce occidentale; cioè che tramonti, che cada. MOLIMI. — Nè che piacer più al gusto Creda. Il Barotti legge : ni che piaccia più al gusto, Crede.

St. 37, ». 8. — Gli porria a' piedi i lumi : eome si fa- rebbe ad un Santo. M O L I N I . — Questo verso fa ricordare 1' energico sarcasmo del Casa nella celebre Orazione pel- la Lega, parlando dell' imperatore Carlo V : Se tale egli è, accendetegli i lumi e adoratelo. P O L I D O R I .

St. 39, ». 1-3. —- ima»o: la gran catena dell' Hima- laia, che traversa 1' Asia obliquamente. MOLIMI. — E ' I

ghiaccio ignavo, come presso i Latini. Ovid., Metam., II, 765, parlando della casa dell'Invidia: Tristis et ignavi pienissima frigoris. Ognuno può da sè confrontare la de- scrizione del poeta latino coli' imitazione qui fattane dal Ferrarese.

St. 46, ». 1-7. — Troia. Vedi il secondo verso della Stanza 27 del Canto II. P O L I D O R I . — Tana: parla dell'o- rigine dei Franchi (popolo settentrionale), e gli suppone, dietro favolose tradizioni, discesi dagli antichi Troiani pri- ma rifugiati sul Tanai, poi passati sul Danubio, indi sul Reno, di dove entrarono ad occupare le Gallie. MOLIMI. —

In discorso d' anni : coli' andar degli anni, andati molti anni.

St. 49, ». 1. — Alle mortai grandezze ecc. Anche Se- neca, Trag. : Quid quid ad summum venit ad fmem properat.

St. 50, ». 1. — Alta cagione. Il Barotti legge : altra.

St. 53, v. 5. — Attor eh' i sogni men son fabulosi ecc.

Dante nell' Inferno, aveva detto Ma se presso il matita del ver si sogna; e mirabilmente nel Purg., IX, v. 13: Nell'ora che comincia i tristi lai La rondinella presso atta mattina, Forse a memoria de' suoi primi guai, E che la mente nostra pellegrina Più dalla carne, e men da' pensier presa, Alle sue vision quasi è divina. E Dante aveva certo al pensiero quello di Ovidio, Epist. d' Ero : Namque sub aurora jam dormitante lucerna, Tempore, quo cerni Somnia vera solenti St. 56, ». 7. — Nè quei. Non ci parve confacevole al senso la variante che trovasi nelle edizioni del Pezzana e del Molini : Che quei. POLIDORI.

St. 63, ». 2. — Molti mila franchi. Esempio notabile della voce franco a significare moneta, e da aggiungersi a quello di M. Villani. P O L I D O R I .

St. 65, ». 3. — Provvedute. Cosi tutte le stampe ; ma non è dificile che debbano dir concedute. BAROTTI.

St. 66, ». 3-6. — Sciorre: latinismo, per pagare, sod- disfare ; affine allo altre frasi : Scioglier l'obbligo o il voto. POLIDORI. — Eredi far cader di lor ragioni. Il Ba- rotti cosi legge questo verso : Gli eredi far cader di sue ragioni. Nè l'una nè 1' altra lezione parrà chiara agi' intel- ligenti ; che meno ancora vorranno approvare 1' interpre- tazione data nell' ediz. Molini : Cadere di ragioni, per Suc- cedere nette ragioni. Ad ottenere la lucidità che manca, con- verrebbe così emendare il verso quinto : Non potesse li lor figli o fratelli. POLIDORI.

St. 67, ». 6. — Il coraggio : coraggio per cuore, l'usò più volte l'autore anche nell' Orlando Furioso. MOLIMI.

St. 70, ». 6-8. — Desiderio : re dei Longobardi, mosse guerra a papa Adriano, e fu disfatto da Carlo Magoo. — Tassilo, o, come altre volte lo chiama, Tassillone, fu duca di Baviera. MOLINI. — Dacia. Congetturiamo doversi cor- reggere, o almeno intendere Dania, rammentando quello che intorno al confondersi di queste due denominazioni scriveva il Giambullari : La Dania da alcuni, con error non piccolo, chiamata Dacia. (Stor. Eur., lib. Ili, § 2.) Sono

poi note le continue aggressioni dei Dani contro i Bri- tanni. P O L I D O R I .

St. 72, ». 6. — Vivagni : propriamente estremità della tela : qni per estremità de' lidi dei mare, a imitazione di Dante, 7ii/., X I V e X X I I T ; e I'urg., X X I V . BAROTTI.

«

(10)

I CINQUE CANTI.

St. 73, v. 2-4. — Che d'aranci e di sempre verdi mirti.

Il Barotti : Che con aranci e sempre verdi ecc. — I bene o- lenti spirti : frase latina, aliti di buon odore ; buoni e soavi odori. Lucrezio, lib. Ili : Spiritus unguenti suavis diffugit in auras. BAROTTI.

St. 79, v. 6. — Ef Alberto, di Bramante o di Vilrui.

Leon Battista Alberti, il Bramante e Vitruvio, tre celebri architetti. MOLIMI.

St. 80, v. 3. — Idee incorrotte: eterne", incommutabili, perchè formate, secondo i Platonici, nelia mente stessa di Dio.

St. 99, v. 2. — Dell infelice ecc. L'edizione di Firenze, Molini, 1852, in 8°., legge: Del sfortunato.

St. 100, v. 2. — Da Pontiere: l'edizione Molini h a : di Pontiero.

St. 107, ν. 1. — Ammiraglio. Π Barotti e altri leggo- no : armiraglio.

St. 108, v. 4. — Che poco dianzi il simigliava a un tarlo: nella Stanza 38, v. 3. POLIDORO

St. Ili, v. 6. — Cochin pagliardo: voci francesi. Co- quin paillard, furfante libertino. MOLIMI. — Parla il poeta di Gano franze3e co' termini della sua nazione. B A R O T T I .

CANTO ¡SECONDO.

ARGOMENTO.

Per volontà d' Aleina, entra il Sospetto Nel cor di Desiderio : ond' ei per quello Ogni estrano signor, con empio effetto, Al Franco imperador rende ribello.

Ma Carlo al rio pensier tronca ogni effetto:

Manda in Italia Orlando ; e, or questo or quello Vincendo, assedia Praga: e in questa guerra, Della maga Medea le selve atterra.

Pensar cosa miglior non si può al mondo, 1 D' un signor giusto e in ogni parte buono,

Che del· debito sno non getti il pondo, Benché talor ne vada curvo e prono , Che curi ed ami i popoli, secondo Che da' lor padri amati i figli sono;

Che 1' opre e le fatiche pei figliuoli Fan quasi sempre, e raro per sè soli :

Ponga ai perìgli ed alle-cose strette 2 Il petto innanzi, e faccia agli altri schermo :

Che non sia il mercenario il quale non stette, Poi che venir vide a sè il lupo, fermo ; Ma sì bene il pastor vero, che mette La vita propria pel suo gregge infermo, Il qnal conosce le sue pecorelle

Ad una ad una, e lui conoscon elle.

Tal fu in terra Saturno, Ercole e Giove, 3 Bacco, Polluce, Osiri e poi Quirino,

Che con giustizia e virtuose prove, E con soave e a tutti ugual domino

Fur degni in Grecia, in India, in Roma, e dove Corse lor fama, avere onor divino ;

Che riputar non si potrian defunti, . Ma a più degno governo in cielo assunti.

Quando il signor è buono, i sudditi anco 4 Fa buoni ; che ognun imita chi regge : '

E s' alcun pur rimau col vizio, manco Lo mostra fuor, o in parte lo corregge.

0 beati li regni a chi un uom franco E sciolto da ogni colpa abbia a dar legge 1 Così infelici sono e miserandi,

Ove un ingiusto, ove un crudel comandi ;

Che sempre accresca e più gravi la soma, 5 Come in Italia molti a' giorni nostri.

De'quali il biasmo in questo e in altro idioma Faran sentir anco i futuri inchiostri ;

Che migliori non son che Gaio a Roma, 0 Neron fosse, o fosser gli altri mostri : Ma se ne tace, perchè è sempre meglio Lasciar i vivi, e dir del tempo veglio.

E dir qual sotto Fallari Agrigento, 6 Qual fu sotto i Dionigi Siracusa,

Qual Tebe in man del suo tirau cruento;

Dai quali e senza colpa e senza accusa La gente ogni dì quasi a cento a cento Era troncata, o in lungo esiglio esclusa.

Ma nè senza mártír sono essi ancora, Chè al cor lor sta non minor pena ognora.

Sta lor la pena della qual si tacque 7 Il nome dianzi, e della qual dicea

Che nacque quando la brutt'Ira nacque, La Crudeltade e la Rapina rea:

E quantunque in un ventre con lor giacque, Di tormentarle mai non rimauea.

Or dirò il nome, eh' io non l'ho ancor detto ; Nomata questa pena era il Sospetto.

Il Sospetto, peggior di tutti i mali, 8 Spirto peggior d'ogni maligna peste,

Che l'infelici menti de'mortali ' Con venenoso stimolo moleste ;

Non le povere o T umili, ma quali S' aggiran dentro alle superbe teste Di questi scellerati, che per opra Di gran fortuna agli altri stan di sopra.

Beato chi loutan da questi affanni . 9 Nuoce a nessun, perchè a nessun è odioso 1

Infelici altrettanto e più i tiranni, A cui nè notte mai nè dì riposo

(11)

Dà questa peste, e lor raccorda i danni, E morti date o in palese o in ascoso I Quinci dimostra che timor sol d' uno Han tutti gli altri, ed essi n' han d' ognuno;

Non v' incresca di starmi un poco a udire, IO Chè non però dal mio sentier mi scosto;

Anzi farò questo eh' or narro, uscire Dove poi vi parrà che sia a proposto.

Uno di questi, il qual prima a nudrire Usò la barba, per tener discosto Chi gli potea la vita a un colpo tórre, Nel suo palazzo edificò una torre,

Che, d'alte fosse cinta e grosse mura, 11 Avea un sol ponte che si leva e cala ;

Fuor eh' un balcon, non v' era altra apertura, Ove a pena entra il giorno e 1' aria esala ; Quivi dormia la notte, ed era cura Della moglier di mandar giù la scala : Di quella entrata è un gran mastin custode, Ch' altri mai che lor dne non vede ed ode.

Non ha nella moglier però sì grande 12 Fede il meschin, che prima eh' a lei vada,

Quand' uno e quand' un altro suo non mande, Che cerchi i luoghi onde a temer gli accada.

Ma ciò poco gli vai, chè le nefande Man della donna, e la sua propria spada Fér d'infinito mal tarda vendetta, E all' ioferno volò suo spirto in fretta.

E Radamanto, giudice del loco, ' 13 Tutto il cacciò sotto il bollente stagno,

Dove non pianse e non gridò : i' mi cuoco, Come gridava ogn' altro suo compagno ; E la pena mostrò curar sì poco, Che disse il giustiziere : io te la cagno ; E lo mandò nelle più oscure cave, Ov' è un martir d'ogni martir più grave.

Nè quivi parve ancor che si dolesse; . 14 E domandato, disse la cagione:

Che quando egli yivea, tanto 1' oppresse E tal gli diè il Sospetto afflizione (Che nel capo quel giorno se gli messe, Che si fece signor contra ragione), Che sol ora il pensar d'esserne fuore, Sentir non gli lasciava altro dolore.

Si consigliare i saggi dell' inferno, 15 Come potesse aver degno tormento ;

Che saria contra l'instituto eterno Se peccator là giù stesse contento ; E di novo mandarlo al caldo e al verno Concluso fu da tutto il parlamento ; E di novo al Sospetto in preda darlo, Ch' entrasse in lui senza più mai lasciarlo.

Così di novo entrò il Sospette in questa 16 Alma, e di sè e di lui fece tutt' uno,

Come in ceppo salvatico s'innesta Pomo diverso, e '1 nespilo sul pruno ; - 0 di molti colori un colqr resta, Quando un pittor ne piglia di ciascuno Per imitar la carne, e ne riesce Un differente a tutti quei che mesce.

Di sospettoso che '1 tiran fu in prima, 17 Or divenuto era il Sospetto ¡stesso; .

E, come morte la ragion di prima Avesse iu lui, gli parea averla appresso.

Ma ritornando al mio parlar di prima, Chè per questo in oblio non 1' avea messo ; Alcina se ne va dove sul tergo

D' un alto scoglio ha questo spirto albergo.

Lo scoglio ove '1 Sospetto fa soggiorno, 18 È dal mar alto da seicento braccia,

Di rovinose balze cinto intorno . E da ogni canto di cader minaccia.

Il più stretto sentier che vada al Forno, Là dove il Garfagnino il ferro caccia, La via Flaminia o 1' Appia nomar voglio, Verso quel che del mar va in sullo scoglio.

Prima che giunghi alla suprema altezza, 19 Sette ponti ritrovi e sette porte :

Tutte hanno con lor guardie una fortezza; . La settima dell' altre è la più forte.

Là dentro, in grande affanno e in gran tristezza, Chè gli par sempre a' fianchi aver la morte, Il Sospetto meschin sempre s'annida;

Nessun vuol seco e di nessun si fida.

Grida da' merli e tien le guardie deste, 20 Nè mai riposa al sol nè al cielo oscuro;

E ferro sopra ferro, e ferro veste: . Quanto più s'arma, è tanto men sicuro.

Muta ed accresce or quelle cose or queste Alle porte, al serraglio, al fosso,. al muro : Per darne altrui, munizi'on gli avanza;

E non gli par che mai n' abbia a bastanza.

Alcina, che sapea eh' indi il. Sospetto 21 Nè a prieghi nè a minacce vorria uscire,

E trarnelo era forza al suo dispetto, . Tutto pensò ciò che potea seguire. . Avea seco arrecato a questo effetto

L'acqua del fiume che fa P uom dormire, Ed entrando invisibil nella rócca, Con esso nelle tempie un poco il tocca.

Quel cade addormentato ; Alcina il prende, 22 E scongiurando gli spirti infernali,

Fa venir quivi un carro, e su ve '1 stende, Che tiran duo serpenti c'hanno l'ali;

Poi verso Italia in tanta fretta scende, Che con la più non van di Giove i strali.

La medesima notte è in Lombardia, In ripa di Ticin dentro a Pavia ;

Là dove il re de'Longobardi allora 23 L'antico seggio, Desiderio, avea.

Nel cielo orientai sorgea 1' aurora . Quando perdè il vigor l'acqua letea :

Lasciò il sonno il Sospetto; e quel che fuora E lontan dal castel suo si vedea,

Morto saria, se non fosse già morto ; Ma la Fata ebbe presta al suo conforto.

Gli promise ella in dietro rimandarlo 24 Senza alcun danno ; e in. guisa gli promesse,

. Che potè in qualche parte assicurarlo, Non sì però che in tutto Io credesse : Ma pria, che in Desiderio, che di Carlo Temea le forze, entrasse gli commesse, E che non se gli levi mai dal seno,

Fin che tutto di sè non 1' abbia pieno. .

(12)

I CINQUE CANTI.

Mentre fu Carlo i giorni innanzi astretto 25 Dal re d'Africa a nn tempo e da Marsiglio,

Il re de'Longobardi, per negletto E per perdato avendo posto il Giglio, Non curando né papa nè interdetto, Alla Romagna avea dato di piglio;

Poi entrando in la Marca, con battaglia E Pesaro avea preso e Sinigaglia.

Indi sentendo eh' era il foco spento, 26 Morto Agramante e il re Marsiglio rotto,

Della temerità sua mal contento, Si reputò a mal termine condotto.

Or viene Alcina, e accrescegli tormento ; Chè fa il rio spirto entrar in lui di botto, Che notte e dì l'affligge, cruccia ed ange, E più che sopra un sasso in letto il frange.

Gli par veder che lasci il Reno e 1' Erra 27 Il popol già troiano e poi sicambro,

Ed apra l'Alpi e scenda nella terra

Che riga il Po, l'Adda, il Ticino e l'Ambro : Veder s'aspetta in casa sua la guerra, E sua ruina più chiara che un ambro;

Nè più certo rimedio al suo mal trova, Che contra Francia ogni vicin commova.

E come quel che gran tesori uniti 28 Avea d' esazioni e di rapine,

Ed avea i sacri argenti convertiti

In uso suo dalle cose divine; . Con doni e con proferte e gran partiti

Collegò molte nazion vicine,

Come già il conte di Pontier gli scrisse Prima che dalla corte si partisse.

Tutta avea Gano questa tela ordita, 29 Che'l Longobardo dovea tesser poi;

E quella poi non era oltre seguita, E fin qni stava ne' principii suoi.

Or la mente, d'un stimolo ferita Peggior di quel che caccia asini e buoi, Conchiuse e fece nascer come un fango Quel che più giorni avea menato in lungo.

Fé' in pochi dì che Tassinone, eh' era 30 Suo genero e cugin del duca Namo,

Tutta la stirpe sua fuor di Baviera Cacciò, senza lasciarvene un sol ramo : Fe' similmente ribellar la fera

Sansogna, e ritornare al re Gordamo:

E trasse, per por Carlo in maggior briga, Con gli Ungheri i Boemi in una liga ;

E '1 re di Dacia e il re delle due Marche 31 Por tra la Frisa e '1 termine d'Olanda

Tante fuste e galee, caracche e barche, Per gir nell'Inghilterra e nell'Irlanda, Che per fuggir avean le some carche Molte terre da mar da quella banda.

Da un' altra parte si sentiva il vecchio Nemico in Spagna far grande apparecchio.

Tutto segni ciò eh'avea ordito Gano, 32 Ch'era d'insidie e tradimenti il padre.

Fa suscitato Unuldo l'aquitano A soldar genti faziose e ladre : Mettendo terre a sacco, capitano Di ventura era detto dalle squadre ;

Nascosamente da Lupo aiutato Di Bertolagi di Baiona nato.

Fér queste nove, per diversi avvisi 33 Venate a Carlo, abbandonar le feste,

E a donne e a cavalieri i giochi e i risi, E mutar le leggiadre in senre veste.

De' saccheggiati popoli ed nccisi Per ierro, fiamme, oppressioni e peste, Le memorie passate ad ora ad ora Prometteano altrettanto e peggio ancora.

O vita nostra di travaglio piena, 34 Come ogni tua allegrezza poco dura !

Il tuo gioir è come aria serena,

Che alla fredda stagion troppo non dura:

Fu chiaro a terza il giorno, e a vespro mena Subito pioggia ed ogni cosa oscura.

Parea ai Franchi esser fuor d' ogni periglio, Morto Agramante e rotto il re Marsiglio; ,

Ed ecco un'altra volta che '1 ciel tuona 35 Da un' altra parte, e tutto arde di lampi,

SI che ogni speme i miseri abbandona Di poter frutto cor delti lor campi.

E così avvien ch'una novella buona Mai più di venti o trenta dì non campi, Perchè vien dietro un' altra che 1' uccide , E piangerà doman 1' uom eh' oggi ride.

Per le cittadi uomini e donne errando, 36 Con visi bassi e d' allegrezza spenti,

Andavan taciturni sospirando, Nè si sentiano ancor chiari lamenti : Qnal nelle case attonite avvien, quando Mariti o figli o più cari parenti Si veggon travagliar nell'ore estreme, Che infinito è il timor, poca è la speme.

E quella poca pur spegnere il gelo 37 Vuol della tema, e dentro il cor si caccia :

Ma come pnò d'un picciolin cándelo Fuoco scaldar dov' alta neve agghiaccia ?

Chi leva a Dio, chi leva a' Santi in cielo Le palme giunte e la smarrita faccia, Pregandoli che, senza più martire, Basti il passato a disfogar lor ire.

Come che il popol timido per tema 38 Disperi, e perda il core e venga manco,

Nel magnanimo Carlo non iscema L' ardir, ma cresce, e nei paladini anco : Chè la virtù di grande fa suprema, Quanto travaglia più 1' animo franco ; E gloria ed immortai fama ne nasce, Che me' d'ogni altro cibo il guerrier pasce.

Carlo, a chi ritrovar difficilmente. 39 La terra e '1 mar cercando a parte a parte,

Si potria par di santa e buona mente E d' ogni finzi'on netta e d'ogni arte (E lascio ancor eh' oltre 1' età presente Volghi l'antiche e più famose carte);

A Dio raccomandò sè, i figli e '1 stato, Nè più curò ch'esser di fede armato.

Nè men saggio che buono, poi che avuto 40 Ebbe ricorso alla maggior Possanza,

Che non mancò nè mancherà d' ainto Ad alean mai che ponga-in lei speranza,

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