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La Riforma e la letteratura

In document La letteratura degliungheresi (Pldal 44-50)

Un fenomeno complesso dette una svolta decisiva e consistente alla storia letteraria ungherese: la Riforma protestante. Con essa l’introduzione massiccia della stampa, utilizzata al principio quasi esclusivamente da luterani e calvinisti, e la creazione di collegi di istruzione e scuole.

L’ epica storica, ma soprattutto la traduzione della Bibbia e dei salmi furono premessa necessaria a conseguenza altrettanto ineludibile: la necessità di fissare una grammatica della lingua ungherese. Che presuppone una riflessione teorica già fatta sulla ragion d’essere della propria lingua madre e sul suo indiscutibile valore letterario, quindi non solo per trasmettere il credo cristiano direttamente al popolo. Quasi tutta questa letteratura è manoscritta, anche dopo l’invenzione della stampa. Gli incunaboli prodotti in Ungheria provengono da un un’uni-ca stamperia, quella di András Hess a Buda, che sebbene sia esempio precoce in Europa, funzionò soltanto tra il 1472 e il 1473 e non stampò libri in ungherese (in tutto sono note due stampe provenienti da questa tipografia). Chiamato da Mattia Corvino, Hess aveva del resto una formazione umanistica, avendo fatto esperienza nella tipografia romana Lauer, il cui correttore era Pomponio Leto.

Il primo libro in ungherese, le Epistole di San Paolo nella traduzione dell’erasmista Benedek Komjáthy, fu pubblicato a Cracovia nel 1533, il secondo, un’antologia di Favole esopiche nella traduzione di Gábor Mizsér Pesti (Gabriel Pannonius) a Vienna nel 1536. Questi segue il filone umanistico della rivisitazione della favola esopica. L’ altra linea, quella spiccatamente protestante, in cui prevale il valore dell’insegnamento etico, sarà guidata in Transilvania da Gáspár Heltai

(1510?-1574). Nell’introduzione, Pesti propone il programma degli altri grammatici:

gli ungheresi non sono da meno delle altre nazioni e devono coltivare la propria lingua madre.

Causa della scarsa produzione di opere a stampa nello sviluppo della lettera-tura ungherese sono ragioni storiche, prima che cullettera-turali. L’ espansione fino al Danubio dei confini dell’impero ottomano, la perdita di Buda (1541), l’analfa-betismo. La vita culturale e con essa le tipografie, si spostano sempre più a nord, nell’Ungheria Superiore, la parte libera del Regno d’Ungheria (tutte le altre regioni rimasero sotto l’impero ottomano fin quasi alla fine del secolo XVII) oppure continuano l’attività in Transilvania. Qui i luterani della nazione tedesca e i calvinisti ungheresi proseguono la loro attività culturale, appoggiati dai principi nemici del papa e degli Asburgo. Lo stesso fanno i francescani nell’unica zona rimasta cattolica, il Székelyföld, nell’Oriente transilvano. L’ attività di educazione del popolo attraverso il catechismo e il canto dei salmi continua per un secolo e mezzo soltanto in queste zone geograficamente ‘limitrofe’. Qui agiscono i gram-matici e i letterati erasmisti del primo Cinquecento. Con la traduzione dei salmi e la creazione di canti per la liturgia si pone anche la questione della metrica e della grammatica. In questo campo fu decisiva l’opera di János Sylvester (1504-1551?:

prima del 1540 non sembra aver aderito alla Riforma) che dopo aver compilato la prima grammatica dell’ungherese (1539) preparò la traduzione integrale del Nuovo Testamento (1541), lavorando direttamente sul testo greco oltre che sulla vulgata di Erasmo. Se dal punto di vista stilistico la sua opera non supera l’eleganza di Gábor Mizsér Pesti, dal punto di vista filologico, essa è al livello della filologia europea. Tra i primi stampatori viaggianti ungheresi troviamo invece un prete, Gál Huszár. A causa delle reazioni alla sua attività di alcuni vescovi cattolici, Huszár, come altri, si trovò nella necessità di cambiare più volte città, portando con sé l’occorrente per la stampa. In alcuni casi il materiale era già nella città che lo ospitava, lasciatovi da altri o acquistato dalla comunità. Per via dell’occupa-zione ottomana, le comunità evangeliche si trovavano soprattutto nell’Ungheria Superiore, e da qui infatti, oltre che dalla Transilvania, proviene il numero più significativo di stampe ungheresi del Cinque e Seicento: Bártfa (Bardejov), Lőcse (Levoča), Kassa, Nagyszombat, Vizsoly, Kolozsvár.

Gáspár Heltai è l’esempio più straordinario dell’uomo che riunisce in sé ad un livello eccellente doti e capacità dello scrittore, del traduttore, del predicatore, dello stampatore protestante. Allo stesso tempo è rara la fedeltà a un solo luogo e a una sola città che lo caratterizza: Kolozsvár. Il transilvano fece in tempo a formarsi nelle università tedesche, quando ancora risuonava in esse l’insegnamento di Lutero o dei suoi diretti allievi: Bugenhagen e Melantone. Gli studi classici non sareb-bero serviti a molto senza il desiderio e la possibilità che Heltai ebbe di imparare

in patria il mestiere di editore e libraio dal più esperto socio Georg Hoffgreff. E dimostrò un non comune senso dell’imprenditoria se la sua stamperia funzionò ininterrottamente per decenni. Le onde della Riforma erano giunte in Transilvania e se la popolazione tedesca di Brassó, Nagyszeben (Sibiu) e Medgyes (Mediaş) si era convertita al luteranesimo, gli ungheresi, e con loro Heltai, a partire dalla fine degli anni Cinquanta scelsero Calvino e Zwingli. Dieci anni dopo arrivò anche l’antitrinitarismo con Ferenc Dávid e ad esso aderì anche Heltai, compiendo l’ul-tima tappa del suo percorso religioso. Si avvertì l’esigenza di affiancare la stampa in lingua tedesca già attiva a Brassó, progettando libri per il pubblico calvinista e antitrinitario ungherese. Un pubblico non ampio, ma precisamente individua-bile, che attendeva testi edificanti nella propria lingua madre, piccola borghesia desiderosa e capace di investire una non piccola cifra di denaro nell’acquisto di qualche libro a stampa. Heltai stampò opere decisive per la cultura letteraria un-gherese del tempo. Parallelamente alle traduzioni componeva opere sue, basandosi su modelli stranieri, ma sempre adattandoli all’ambiente culturale ungherese.

Dalla sua penna nascono i prodromi della narrativa in ungherese: Háló (Rete, 1570), traduzione rielaborata di una nota opera contro l’inquisizione spagnola stampata a Heidelberg nel 1567, e Ponciánus császár históriája (Storia dell’impe-ratore Ponziano, 1572) il cui pubblico erano le dame transilvane: “Le dame, lo so, me ne vorranno/gli stampatori me ne diranno/a causa dei begli esempi di questo librettino (...)”. Notevole fu il contributo alla stampa storiografica: gli ungheresi poterono leggere nella loro lingua la Chronica az magyaroknak dolgairól (Cronaca dei fatti degli ungheresi), pubblicata postuma nel 1575, esemplata sull’opera di riferimento dell’umanista Bonfini, che era stata pubblicata a stampa a Basilea nel 1568. L’ opera più diffusa e di successo furono però le Száz fabula (Cento favole, 1566). Nell’opera di Heltai il diletto e l’insegnamento vanno insieme: “(...) Credo che chi vorrà leggere queste favole con il cuore puro vi trarrà molto vantaggio.

Benché infatti siano queste favole frutto dell’ingegno e dell’arte umana, vi è in esse un senso e vi si trovano vari insegnamenti utili e belli.” Sono le spiegazioni che ad ogni fiaba egli aggiunge, in cui attualizza per educare il pubblico un-gherese protestante. Da buon scrittore Heltai si ricorda di distribuire in alcune favole elementi ungheresi, transilvani, detti popolari, nomi, ricordi storici. Il suo maggior pregio fu tuttavia l’inserimento della forma dialogica nella narrazione:

la drammatizzazione rese la sua prosa godibile e attraente.

Accanto a Heltai è Péter Bornemisza (1535-1585) l’intellettuale che spicca per personalità, idee, magistero. Nato a Pest e presto orfano, fu allevato dai Balassi.

Diretto allievo di Melantone a Wittenberg, studia anche Vienna e a Padova. Ha una vita piuttosto avventurosa e non doveva avere un carattere facile se nella can-celleria viennese entrò in conflitto persino con l’imperatore e fu più volte in cella.

In questo periodo traduce dal greco l’Elettra di Sofocle (Tragédia magyar nyelven az Sophocles Electrájából, 1558), operazione che possiamo considerare la seconda tappa significativa dell’umanesimo in Ungheria dopo la generazione di János Vitéz e Janus Pannonius. Evidentemente con intenti diversi: “(...) tutti, siano re, signori, grandi e piccoli possono trarre insegnamento ed esempio (...) di come quanto più lento alla punizione è Dio, tanto più pesantemente e dolorosamente fustiga.”

Dal 1564 è istruttore presso i Balassi, a Zólyom, e maestro di Bálint (1554-1594).

Anch’egli fonda una tipografia, sempre nel Felvidék, presso la quale videro la luce i quattro volumi delle prediche (1573-1578) e l’opera sua più nota, che ancora oggi desta interessa, Ördögi kisírtetek (Le tentazioni del diavolo, 1579), con la quale irritò fortemente l’imperatore e fu costretto a cercare rifugio da Menyhárt Balassi nel castello di Detrekő. In lui scopriamo l’altro volto del protestantesimo del Cinque-cento in Ungheria: la forza del predicatore ortodosso. Prolifico in questo campo (soprattutto negli anni Settanta del secolo), scrisse anche liriche, in cui sintetizzava con un linguaggio dei salmi la domanda sul destino storico dell’Ungheria, cercando anche una forma nuova nella lirica, che l’allievo Balassi porterà a perfezione:

Mi assalgon superbi tedeschi, Mi circondan turchi pagani, Nella cara Buda avrò un dì una casa?

Mi odiano i nobili d’Ungheria, hanno esiliato l’unico vero Dio, Nella cara Buda avrò un dì una casa?

Nelle Tentazioni Bornemisza riversa una vita ricca di esperienze dolorose, ma anche l’ampia dottrina nella raccolta di storie e aneddoti sulle tentazioni del diavolo, creando un’opera che sta a metà tra il catechismo e la narrativa. In un ungherese raffinato e scorrevole vi si raccolgono molti aneddoti e scene che danno un quadro della vita spirituale, comportamentale (consuetudini sessuali, alimen-tari ecc.) ed economica dei nobili del tempo. L’ attività letteraria è tutta protesa a mostrare il lavoro del nemico, del maligno, che a Bornemisza piace mostrare in tutte le forme e i colori, con tutti gli spaventevoli segni e ragguardevoli pericoli che egli porta incessantemente all’uomo. Naturalmente con le difese che l’uomo deve apportare, perché l’obiettivo è aiutare chi lotta in solitudine contro il male:

Da molti si daranno molteplici giudizi circa il mio scritto sulle schifezze mali-ziose del diavolo. Qualcuno sorriderà, qualcuno mi accuserà, qualcuno proverà disgusto (...) I forti nel corpo, i giocosi, i sorridenti, rideranno divertendosi; (...) quelli che da poco conoscono le tentazioni del diavolo, ne avranno disgusto.

Coloro che sono affaticati e sfiancati a causa della lotta contro il diavolo ne trar-ranno consolazione e coraggio vedendo che non sono i soli nelle tentazioni del diavolo e si daranno a un’attenzione ancora maggiore e a una preghiera ancor più incessante (...) difficile, né giusto è parlare infatti a un tutto omogeneo.”

Bornemisza trovò in Miklós Telegdi (1535-1586) un oppositore nel dibattito teologico e nella predicazione. Telegdi era stato allievo del cardinale Oláh. La Ri-forma aveva ormai conquistato tutta la Transilvania e l’Ungheria, quando Telegdi capì che bisognava presto intervenire per difendere il Cattolicesimo. Così scrive a papa Gregorio XIII nel 1580:

La chiesa cattolica ungherese è sull’orlo della distruzione finale. Tutti i grandi sforzi e le grandi fatiche, gli innumerevoli odi e pericoli a cui ci esponiamo per combattere contro i tentativi fanatici degli eretici, non aiutano più la vera religione. Gli eretici attaccano oramai il gregge rimasto senza pastore anche nella sua sede [Nagyszombat]. Davanti ai nostri occhi nella nostra città si sono presi una chiesa in cui predicano bestemmie ai curiosi. Fra non molto prenderanno altre città, paesi, campagne, come le mosche, e della fede cattolica non rimarrà neanche il nome

La tipografia che Telegdi aveva comprato a Vienna dai gesuiti e trasferita a Nagy-szombat tenendola attiva dal 1577 al 1586, rimase per quasi tutto il Seicento la munizione culturale del cattolicesimo in Ungheria: grazie ad essa vennero stampate anche poesie religiose (traduzioni di salmi) di Balassi e Rimay (1570?-1631) e di altri poeti del tardo Rinascimento e del Manierismo. Telegdi fece un lavoro eroico: György Káldi (1572-1634) testimonia che pur ammalato attendeva alla predicazione, senza che nessuno si avvedesse della sofferenza. Morì in povertà assoluta, non lasciò che un bicchiere...

L’ adesione del popolo ungherese alle riforme luterane e calviniste fu massic-cia, si estese fino ai Carpazi e rese urgente fornire ogni strumento per il culto.

Due arti, una teorica e una pratica, avevano soffiato il vento alle ali della Riforma:

la grammatica e la stampa. La grammatica, che nel Medioevo era sinonimo di lingua latina e di poesia, entra in pochi anni con forza e maturità incredibili nella storia della lingua ungherese. Allo stesso tempo i primi stampatori unghe-resi sono praticamente tutti protestanti, spesso preti che lavorano col torchio per stamparsi i libri e diffondere la predicazione. E protestanti furono anche i primi grammatici della lingua. Infatti la definizione delle regole era necessaria sia ai predicatori sia agli scrittori e sia agli stampatori. Significava anche dare rango a una lingua che fino a quel momento, con poche eccezioni, non era stata

ritenuta degna di trasmettere i testi sacri, e meno ancora opere letterarie ori-ginali. La traduzione della Bibbia fu con la trasposizione dei salmi uno dei più importanti avvenimenti nella storia della grammatica, della letteratura e della stampa ungherese. I due processi che videro impegnati più d’un poeta e di uno scrittore nel Cinquecento si concludono con due traduzioni integrali: la Bibbia tradotta dal predicatore Gáspár Károlyi (1529?-1591) con il sostegno del principe di Transilvania Zsigmond Rákóczi si stampa nel 1591 a Vizsoly; lo Psalterium Hungaricum di Albert Molnár Szenci si stampa nel 1607. Anche Molnár Szenci dovette avere una buona pratica di editore, se non proprio di stampatore, in quanto seguì da vicino il lavoro di Károlyi a Gönc e a Vizsoly. Il Szenci Molnár peregrinò lungo tutta l’Europa e i suoi studi lo portarono prima in Germania, poi con l’arrivo del luteranesimo in Italia e in Svizzera, quindi a Ginevra e di nuovo a Heidelberg, infine in Ungheria, dove morì nel 1634. Egli è la summa del Rinasci-mento ungherese e prologo dello sviluppo letterario successivo. Negli anni in cui come traduttore dei Salmi lo riconosciamo finissimo poeta (1607) scrive anche un piccolo catechismo e applica la filologia umanistica appresa a scuola nella revi-sione della Bibbia di Károlyi (1608). Ma aveva scritto una grammatichetta latina (1604), compilato il primo vero dizionario latino-ungherese e ungherese-latino (1604) e scriverà una nuova grammatica ungherese in due libri (1610). Intanto, lungo trent’anni, scrive un diario. Letterato, grammatico, editore, teologo, poeta:

tutto si fonde in uno nell’esperienza filologica e umanistica appresa a scuola. La prima, come le successive edizioni dello Psalterium è stampata in Germania, a Herborn, nel 1607. L’ introduzione tratta della versificazione ungherese e delle rime; la necessità del bello, di un suono che sia degno del canto e della lode a Dio;

e ricorda Balassi (vedi oltre), il poeta che pochi anni prima (1589-1594) aveva trasformato in poesia lo studio dei grammatici seguaci di Erasmo (1520-1560). Se infatti la traduzione del salterio aveva principalmente scopi didattici e liturgici ed era stata accuratamente preparata per la lettura nelle chiese, lo stesso Szenci Molnár vi profuse sapienza linguistica e talento poetico. I salmi che venivano tradotti in rime per essere cantati durante gli uffici della messa divennero così anche il patrimonio letterario (non in senso etimologico) di tante persone che non sapevano leggere né scrivere. Quelli utilizzati più frequentemente divennero materia obbligata di ogni poeta ungherese, che mostrava il talento nel riscrivere il salmo traducendolo. Il mondo ebraico e la mediazione cristiana protestante, fissati nella scrittura dai primi letterati ungheresi, fornirono immagini, figure e simboli ai lettori e soprattutto agli uditori nelle chiese ungheresi. Il salmo divenne un mezzo per poter scrivere e cantare nella lingua nazionale, contro il latino, senza provocare reazioni negli ambienti puritani. Comporre in lingua ungherese nel Cinquecento provocava infatti più ‘scandalo’ che comporre in lingua italiana nel Trecento.

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