magazzini, stalle e scuderie divennero il ricovero per buona parte dei pri
gionieri appartenenti alla truppa. «Il nostro ricovero - raccontò ironica
mente un nostro testimone - era una stalla troppo brutta per le bestie ma sufficientemente buona per gli «Schwabs» [soprannome con cui i serbi definivano i soldati austriaci]. Al suo interno eravamo stipati in alcune centinaia»111. Un altro testimone racconta: «c i alloggiarono nelle caserme di cavalleria, che erano delle enormi stalle. Un po' di paglia il nostro let
to, un pane e qualche volta un pezzo di lardo, il nostro rancio. Per mia for
tuna, per un miracolo, sono riuscito a fuggire da quelTinfemo e riparai presso una famiglia di internati [...] ma quei disgraziati che rimanevano nelle stalle, orrori!... cosa da far rizzare i capelli!»112. Un terzo prigioniero raccontò successivamente: «finalmente fummo condotti in una grande ca
serma, contati come pecore, introdotti in una scuderia, dalla quale ema
nava un fetore acuto e nauseabondo; in un locale capace di 50 cavalli era
no ammassati 1.500 prigionieri, una vera bolgia dantesca. Peccato che io non sia pittore per fissare coi colori su una tela simile tragedia. Delle crea
ture seminude, sporche, puzzolenti, sedevano, giacevano, si stringevano una all'altra a terra e nelle mangiatoie. Dovunque regnava un chiasso as
sordante, si cantava, si schiamazzava, si litigava. Interdetto, mi fermai nel vano della porta: non potevo fare un passo senza calpestare un corpo uma
no, ma a mia volta dovetti avanzare perché incalzato dai retrostanti e, get
tato a terra il tascapane, mi ci sedetti sopra, appoggiandomi a quelli che erano più vicini. Caddi presto in un sonno profondo, che però non ebbe lunga durata, perché oltre alle pestate ed ai calci che ricevevo dai vicini ed al clamore infernale, vi era un altro ben più formidabile coefficiente al
l’insonnia: il pidocchio. E non era uno soltanto; nella prima caccia fatta superficialmente ne catturai circa una trentina [...] Durante la notte non si dormiva mai, a causa della fame. I primi giorni fui costretto a cercarmi il nutrimento tra i rifiuti della cucina del prossimo ospedale di riserva; in se
guito, ricevemmo un pane al giorno. Verso la fine di gennaio cominciaro
no a distribuirci, una volta al giorno, una zuppa di fagioli»113.
Intanto, l’arruolamento di tutti i maschi giovani e adulti abili alla guer
ra, aveva determinato una grave carenza di mano d’opera cui le autorità statali serbe cercarono di porre rimedio attraverso l’utilizzo di questa mas
sa di prigionieri. Come si è detto, alcune centinaia, vennero impiegati al
l’interno degli ospedali come infermieri, altri vennero scelti come scrittu
rali per gli uffici, altri ancora come facchini per le stazioni ferroviarie, adi
biti allo scarico e al carico di materiali bellici e di merci destinate alla po
111 Sràmek, Memories o f World War I 19 14 -19 18, cit., 15 dicembre 19 14 .
112 AU SM M , Raccolta di base, b. 484, «N ote ed impressioni sulla ritirata dell’esercito serbo, desunte da deposizioni scritte e verbali di testimoni oculari».
113 Ferrari, Relazione del campo di prigionieri colerosi all’isola dell’Asinara nel 1915-16.
Guerra italo austriaca, cit., pp. 174-75.
polazione civile; moltissimi vennero costretti a costruire trincee sul fronte austriaco e lungo i confini con la Bulgaria o vennero inviati nelle fabbri
che di munizioni di Kragujecaz. Buona parte dei prigionieri venne desti
nata ai lavori agricoli e di disboscamento; infine, circa 10.000 ex combat
tenti delbimperatore Francesco Giuseppe furono adibiti alla costruzione del tronco ferroviario Nis-Knjazevac (città a pochi chilometri dal confine con la Bulgaria)114, opera che venne terminata in coincidenza dell’attacco che la Bulgaria portò contro la Serbia a metà di ottobre 1915. A tale lavo
ro furono destinati due dei nostri testimoni, uno dei quali descrisse in que
sto modo le fatiche vissute, i pericoli corsi e le umiliazioni subite durante il periodo maggio-ottobre del 1915, fino ai giorni che precedono la nuova invasione della Serbia condotta dagli austro-ungarici e dai bulgari: «si usa la dinamite per liberarsi di ogni ostacolo. Il lavoro è molto duro. Dormia
mo tra le rocce come tassi, fa freddo ma non abbiamo né cappotti, né co
perte. I pasti sono tutti uguali: fagioli con un pezzo di carne di montone a pranzo e cena, una minestra densa il mattino e un pagnotta di pane al gior
no [23 maggio 1915]. [...] Oggi due prigionieri sono rimasti feriti duran
te le esplosioni. Tu non puoi riuscire a sentire niente se non un terribile rumore di fondo che dura tutta la giornata [28 giugno 1915]. [...] I giorni passano e noi continuiamo a lavorare come schiavi. Dio sa se forse il no
stro destino è quello di non fare ritorno. Qui, ognuno di noi è costante- mente sotto il pericolo di essere schiacciato da un masso [10 agosto 1915].
[...] La costruzione procede bene. La costruzione dei tunnel è terminata e ponti molto alti sono stati cementati. E un percorso costoso, reso possibi
le dai calli e dal sudore dei zaroblyeniks. Uomini che non avevano mai la
vorato prima, lavorano con martelli e picconi come se lo avessero sempre fatto, fin dalla nascita. Nessuno qui ti domanda la tua professione - pren
di un piccone o una carriola e vai! [12 settembre 1915] [...] Stando alle ul
time notizie giunte qui, i tedeschi hanno attaccato Belgrado e anche i Bul
gari sono pronti a sferrare il loro attacco. Molti scappano via e ogni gior
no succedono incidenti, specie all’interno dei tunnel. La notte noi udiamo le esplosioni dei colpi di artiglieria. Il comandante ci assicura che i bulga
ri stanno compiendo delle manovre. Ma noi pensiamo che egli stia men
tendo»115. Questi ultimi pensieri vengono annotati il 6 ottobre, giorno in cui effettivamente l’artiglieria austriaca diede il via alla nuova offensiva contro la Serbia, bombardando pesantemente Belgrado. Un attacco deci
sivo che nel breve volgere di poche settimane porterà alla capitolazione della Serbia, interamente invasa dalle truppe tedesche, austro-ungariche e bulgare.
114 Semi, DaWlstria alla Serbia e alla Sardegna, cit., pp. 15-16.
115 Sràmek, Memories o f World War 1 19 14 -19 18, cit.