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L’attualità di una rilettura del dramma Stella sul rogo (Csillag a máglyán) di András Sütő va al di là del quinto centenario dell’inizio della Riforma protestante e del decimo anniversario della morte del grande scrittore transilvano. Si tratta di riscoprire un’opera di alto valore letterario il cui messaggio di libertà assume oggi un significato di straordinaria validità.

Stella sul rogo è la seconda opera di un „ciclo di drammi” che si può intendere come „trilogia” o „tetralogia”.1 È comunque significativo che l’edizione del 1978 porti il titolo Tre drammi (Három dráma).2 Siamo d’accordo con chi riconosce in questo

„ciclo” il punto più alto dell’arte di Sütő e anche con coloro che considerano Stella sul rogo il suo dramma migliore:3 insomma, a nostro parere quest’opera è il capolavoro assoluto di uno dei più

1 Lázok János, Sütő András drámatrilógiája, Custos-Mentor, Marosvásárhely 1997, pp. 85–95; Péter Orsolya, Csillagok a máglyán.

Sütő-drámák elemzése, Nemzeti Tankönyvkiadó, Budapest 1997, pp. 8-47; Ablonczy László, Nehéz álom. Sütő András 75 éve, Budapest 2002, p. 266; Gáll Ernő, A „felemelt fő” dramaturgiája és filozófiája in Tanulmányok Sütő Andrásról (szerk. Görömbei András), Kossuth Egyetemi Kiadó, Debrecen 2002, p. 135

2 Sütő András, Három dráma, Kriterion, Bukarest 1978, pp. 65–145.

3 Görömbei András, Sütő András, Akadémiai Kiadó, Budapest 1986, p.

232; Pálfy G. István, A hitvitázó in Tanulmányok Sütő Andrásról, cit., p. 119;

Cfr. Bertha Zoltán, Sütő András, Kalligram, Pozsony 1995, pp. 148–149.

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grandi scrittori ungheresi della seconda metà del Novecento.

Il dramma viene pubblicato per la prima volta nel 1975, insieme all’altra opera drammatica La domenica delle palme di Michele Kolhaas (Egy lócsiszár virágvasárnapja), in un volume che prende a titolo il famoso motto di Martin Lutero: Qui sto saldo, non posso fare altrimenti (Itt állok, másként nem tehetek). Questo fatto, unito alla continuità storica fra le vicende rappresentate nelle due opere teatrali, rende quasi obbligatorio un raffronto fra di esse.

Dopo la rielaborazione del racconto (cronaca) di Heinrich von Kleist, Sütő continua a presentare, in forma drammatica ma con un contenuto parabolistico, la storia del Protestantesimo. La problematica morale e filosofica è però diversa.

Nella storia di Michele Kolhaas si trattano il dramma, la tragedia della giustizia e della rivolta individuale, o più precisamente il rapporto (conflittuale) tra questi due fattori: un uomo che nutre una fede profonda nella legittimità e nella giustizia, si accorge che queste due cose non si possono conciliare e si ribella contro l’oppressione, contro la violenza

„legittimata” dalla pseudogiustizia del potere arbitrario, arrivando a farsi giustizia da sé.4 Nel secondo dramma viene portata sulla scena la nascita di una nuova tirannide: possiamo seguire la degenerazione „in fieri” di un movimento di liberazione, di riforma, in un’oppressione non meno crudele di quella contro la quale originalmente si era rivoltata con la sua

„protesta”. Nella Domenica delle palme di Michele Kolhaas il padre della Riforma, Martin Lutero, si presenta come pacificatore, e lo scrittore lascia aperto il dilemma se egli sia in buona o in malafede, quando convince Kolhaas a deporre le

4 Sütő András, Három dráma, cit., pp. 5–63.

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armi e consegnarsi alla giustizia – che poi ingiustamente lo farà giustiziare (se è qui lecito usare questo gioco di parole).

Nella Stella sul rogo, invece, Giovanni Calvino, capo della Riforma ormai trionfante in Svizzera, signore onnipotente di Ginevra („la Roma dei protestanti”), è senza dubbio un uomo falso, traditore degli ideali della propria gioventù e del suo amico: un tiranno che ha tradito se stesso, la sua causa e quella della libertà. Lutero era per Kolhaas (e, in parte, anche per il suo amico-nemico Nagelschmidt) una figura di padre e maestro, mentre Kolhaas stesso era caduto vittima di un’oppressione tradizionale, storica, plurisecolare, quella esercitata dai grandi signori feudali e dai principi. Michele Serveto invece (anche in questo dramma il protagonista si chiama Michele) viene mandato al rogo proprio dal suo ex-amico ed ex-compagno di lotta, Giovanni Calvino. La religione, la fede, è nuova, ma i metodi sono quelli vecchi, sono gli stessi metodi dell’Inquisizione cattolica con la quale Calvino, come ben sappiamo dalle fonti storiche, era disposto a collaborare contro il nemico comune delle – ormai – due ortodossie.5 Nel dramma l’inquisitore cattolico Ory dice infatti a Serveto: „Lei non è il nemico di Calvino, ma peggio: è il suo oppositore”.6 Questo „peggio” vuol dire più pericoloso dei nemici tradizionali cattolici, perchè radicalizza proprio le sue idee di riforma, non soltanto in materia teologica, relativamente ai dogmi religiosi. La „colpa” più grande di

5 Stefan Zweig, Castellio contro Calvino (1936), Castelvecchi, Roma 2015, pp. 89–90; Roland Bainton, Vita e Morte di Michele Serveto (1953), Fazi Editore, Roma, 2012, p. 123-125.

6 Sütő András, Három dráma, cit., p. 94.

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Serveto forse non è tanto quella di aver scritto e pubblicato dopo la Institutio religionis christianae di Calvino la Restitutio religionis christianae in cui negava la Trinità „bestemmiando” (e così fondava la nuova confessione unitaria), ma di aver chiesto e continuato a chiedere il diritto alla libera discussione in materia di fede. È questa la cosa più intollerabile per il

„dittatore”7 ginevrino. Entrambi difendono qualcosa: Serveto un ideale, Calvino una realtà; Serveto i diritti dell’uomo, Calvino un potere consolidato. La „libertas scientiae” che per Serveto è un diritto sacro, rappresenta un „diabolicum dogma” per Calvino e per il suo uomo ultraortodosso Farel – come per la Santa Inqusizione cattolica. Sütő, pur essendo di religione protestante (calvinista), non accetta la letteratura apologistica di parte calvinista che vorrebbe assolvere il gran riformatore dalla grave colpa di omicidio, dal sommo delitto dell’assassinio di Serveto, dando tutta la responsabilità a Farel.

Lo scrittore condivide invece l’affermazione di Castellio, grande critico di Calvino, secondo cui bruciare un eretico non è un atto di fede, ma un assassinio.8 Condivide quindi la tesi della moderna storiografia secondo cui il rogo del primo martire bruciato dal Protestantesimo „fu il seme di una dottrina che, attraverso dibattiti secolari e la svolta avvenuta con l’Illuminismo nel Settecento, sta alla base della civiltà occidentale”.9 Il critico „ufficiale” del regime comunista, l’accademico (e spia) Péter Nagy, cercò di giustificare o almeno attenuare la gravità del delitto di Calvino, asserendo

7 Stefan Zweig, Castellio…, cit., p. 41.

8 Ibidem, p. 141.

9 Andrea Del Col, L’Inquisizione in Italia, Mondadori, Milano 2006, p. 482.

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che con il nemico cattolico „ante portas” Calvino non avrebbe potuto tollerare dissidi e divisioni all’interno della città-stato.10 Siamo di fronte al tipico pretesto a cui danno voce i dittatori di ogni epoca: il „nemico interno” fa il gioco di quello esterno, dell’aggressore straniero. Eppure proprio Calvino si identificava, nei metodi e nella concezione sulla libertà, con i cattolici inquisitori. Qual è la differenza fra l’uccisione di Serveto e quella di Giordano Bruno?

Al suo apparire, nel 1975, questo dramma nella Romania di Ceauşescu potè „passare” il visto della censura perché questa non l’aveva ritenuto pericoloso, dato che non si parlava in esso dei diritti della minoranza ungherese della Transilvania (alla quale alluderà invece un dramma successivo, Le nozze di Susa, che non a caso nel 1981 potrà essere pubblicato solo a Budapest). Per il regime comunista dell’Ungheria di Kádár (più tollerante di quello del Conducător) questo era invece il dramma più pericoloso o comunque più sospetto di Sütő, un dramma liberale sui più „classici” diritti liberali dell’uomo e del cittadino, sulla libertà di parola, di stampa e di religione.

Dopo più di quarant’anni il capolavoro di Sütő è vivo non solo per la sua bellezza poetica: esso si sta caricando di una vivacità fortemente attuale per il suo monito contro il potere assoluto concentratosi nelle mani di un solo uomo, contro le insidie di nuovi autoritarismi, contro il pericolo di una dittatura: „Fra le pareti della Nuova Gerusalemme dormite con gli occhi aperti, brava gente,” per non finire „come pupazzi, come marionette”11 nelle mani di un nuovo dittatore.

10 Nagy Péter, Sütő András: Csillag a máglyán, Kritika 197 6/1, p. 27.

11 Sütő András, Három dráma, cit., p. 145.

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