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Balassi e l’Europa del Rinascimento

In document La letteratura degliungheresi (Pldal 54-61)

Nel 1541, trattando il problema del linguaggio figurato nel Nuovo Testamento, János Sylvester ci ha lasciato uno dei rari cenni sulla situazione della poesia in volgare in Ungheria, da cui si intende quanto bassa fosse la considerazione della lirica amorosa in volgare:

La Sacra Scrittura è piena di linguaggio [figurato], cui il lettore si deve abituare.

Per gli ungheresi ciò è facile, poiché non è a loro estraneo tale tipo di linguaggio.

È vivo infatti nei discorsi di ogni giorno. È vivo nei canti, specialmente nella poesia amorosa [virágének], in cui ogni popolo può ammirare la sottile inventiva degli ungheresi nell’invenzione poetica, che altro non è che poesis magiara.

Se nel parlare di cose sublimi introduco un esempio così basso, cerco l’oro nel letame e non voglio lodare la vanità. Non lodo infatti il soggetto di quei canti, ma la nobiltà di linguaggio con cui sono composti.

Bálint Balassi cresce in un ambiente culturale protestante sotto la guida del Bormemissza e nel 1586 si converte al cattolicesimo (sarebbe complesso raccon-tare i motivi di tale conversione). Egli prosegue la tradizione, comune a cattolici e protestanti, della poesia devozionale che nasce dalla traduzioni dei salmi (per questo è menzionato da Szenci Molnár). Ad esigenze spirituali drammatica-mente vissute e al talento inventivo e teorico si coniuga in Balassi un’indole focosa proiettata nella concreta realtà della vita vissuta tra i castelli di confine in armi contro il Turco, la lotta per mantenere eredità e privilegi e l’esilio. È il primo grande poeta d’amore del Cinquecento ungherese, promotore di un circolo di giovani poeti, amici, che scambiano epistole e versi. Se guardiamo alla lirica, la poesia ungherese comincia con Balassi e il suo originale petrarchismo negli anni dopo il 1570. Prima ci sono i frammenti, l’epica storica, le traduzioni dei

salmi e le traduzioni della novellistica di tradizione greca o latina medievale. Nel secondo Cinquecento la sua personalità spicca per doti umane e per la singolarità del progetto artistico, poiché egli guarda con attenzione ai progressi letterari in Europa. Allo stesso tempo egli rimane nel solco della tradizione quale traduttore di salmi, autore di poesie devozionali e militari. Pure, nella sua poesia si scorge il primo tentativo di superare uno schema nel coniugare il destino individuale con la domanda trascendentale. Molti degli episodi della burrascosa biografia contrastano infatti con il mondo poetico e si insinuano inevitabilmente nelle rime. Visse intensamente, più di quanto vivranno i poeti maledetti quattro secoli dopo, e morì in battaglia per la patria, quasi a riscatto di una vita compromessa.

All’autoritario, attaccabrighe, cacciatore di doti, molestatore, soldato di inaudita audacia si oppone il fine verseggiatore, l’ardente devoto cristiano, il teorico della poesia e della lingua. Un medievale nel galateo e un rinascimentale nella scrittura, secondo la definizione di Iván Horváth.

Balassi volle collegarsi a una moda europea già ben radicata e, allo stesso tempo, creare una nuova lingua poetica ungherese. Dalla dedica e dal prologo della sua Commedia (ne scrivo più avanti a proposito del teatro) è evidente che imita il modello italiano per importarlo in Ungheria e presentarlo alla stretta cerchia di uditori e lettori come acquisizione di una moderna arte poetica. In due occasioni vi si riferisce esplicitamente: nel ricordare come ormai da tem-po in Francia e in Germania, al pari che in Italia, si scrivano commedie come quella che lui presenta; nel rilevare la natura di italiani e spagnoli nelle “cose d’amore”. Quest’ultima citazione sa di stereotipo, ma non è un caso che il poeta faccia riferimento ai due modelli letterarî più in voga nell’Europa del tempo.

Dal punto di vista teorico Balassi ha lo stesso programma dei suoi precursori (Luis Boscan o Du Bellay) e dei contemporanei (Philip Sidney) in Europa: la

“difesa della poesia”; l’introduzione nella lingua madre della lirica d’argomento amoroso mitologico-narrativa; la ricerca di una forma strofica breve e chiusa (sonetto o imitazione di esso). Balassi, come Boscan, sente di dover lottare contro le correnti tradizionaliste, contro ambienti culturali radicati, e non sorprende che il suo pensiero sia tanto vicino ai concetti guida del petrarchismo spa-gnolo, amar, siguer, exercitar (amare, seguire, esercitare). Come è naturale, in Balassi il petrarchismo si specializza, quando al modello riconosciuto mescola elementi certamente tratti dalla poesia slava, tedesca e rumena. L’ inserimento di elementi nazionali o areali nelle linee della moda europea è fenomeno non estraneo ai petrarchisti polacchi, croati, e, in certa misura, nemmeno a quelli francesi, inglesi, scozzesi. Nella scrittura di Balassi si scorge la straordinaria capacità di accogliere e coagulare forme, stili e lingue diversi. Così nell’elegante serie dei bejt turchi, un ciclo di nove poesie dedicate all’amata Julia, in cui il

poeta rilegge più che traduce le fonti ottomane, trasferendo l’amato nella più congeniale relazione eterosessuale della lirica europea:

III.

[traduzione del testo turco:]

Ancora si tesero ad arco le sue sopracciglia,

lanciò l’occhiata una freccia al bersaglio dell’anima mia.

Corpo ed anima ho sulla sua strada deposto:

egli m’ama, anch’io amo chi ruba il mio cuore.

[traduzione del testo ungherese:]

L’ arco del sopracciglio ecco una volta ancora ha teso e del bell’occhio ha fatto Corda all’ardente freccia,

che scocca al cuore come a suo bersaglio.

Certo il senno ho perduto, però m’ama d’un amore che quasi al mio comparo.

IV.

[traduzione del testo turco:]

Vaga immagine tenera e bella, frescura che sboccia e si compie, questa sola hai virile virtù, m’abbandoni al dolore?

[traduzione del testo ungherese:]

Quant’è Julia, nel mondo meraviglia, in te piena risplende: leggiadria Celeste, dolce e mite un intelletto,

e cortese un incanto.

Pur mi lasci al dolore

e di pietà non cenno, in questo solo imperfetta creatura?

VI.

[traduzione del testo turco:]

Io chiesi al sovrano dei belli: c’è mai cosa pari alla luna?

Qual rosa rise e rispose: oh, illusione del folle!

[traduzione del testo ungherese:]

Vedendo un giorno la mia bella Julia che nel suo bello specchio si mirava, Chiesi: può forse Dio tal leggiadria

aver dato nel mondo ad altra pure?

Rispose, e sorrideva: e chi sarebbe sì bella, dì, perduto hai la ragione?

VII.

[traduzione del testo turco:]

Chi vide mai l’anima quando dal corpo s’invola?

Il mio occhio l’ha vista: ecco, l’anima mia m’abbandona!

[traduzione del testo ungherese:]

Nessuno vide l’anima

quando vola dal corpo che si spegne.

Io l’ho vista, è l’amore, l’anima che mi lascia.

E non soffrono gli occhi che ad un altro s’apprenda.

Il repertorio di paragoni e figure retoriche li traeva dagli epigrammi della poesia umanistica latina del primo Cinquecento (Marullo, Angeriano, Iohannes Secundus, che aveva letto in un’antologia edita a Parigi nel 1582). La forma me-trica breve è invece del tutto nuova in Ungheria (prende infatti il nome di strofe balassiana). Che la mancata adozione del sonetto in Ungheria non sarà da valutarsi

come assenza di petrarchismo (come del resto non lo è in Inghilterra prima, e in Germania poi), lo mostra l’esempio croato. Nella Dalmazia del XV secolo, sotto la diretta influenza veneziana, albergava una cultura pienamente italianizzata:

i petrarchisti dalmata-ragusei che sapevano comporre perfetti sonetti in italiano, quando scrivono in croato utilizzano versi di dodici sillabe: l’endecasillabo non apparteneva alla tradizione croata.

L’ inglese Thomas Watson, la cui Ekatompathia venne pubblicata nel 1582, fu con Sidney il primo a introdurre nella letteratura inglese la narrazione della storia d’amore in forma di un canzoniere appositamente strutturato (i petrarchisti della generazione precedente, Wyatt e Surrey pubblicarono nella nota antologia Tottel’s Miscellany.) Watson impiega una strofe di 18 versi che adotta un sistema di rime modellato sul sonetto. Anche lui, come gli altri poeti inglesi, sapeva bene che al termine ‘sonetto’ corrispondevano due significati: uno formale e uno so-stanziale. Con l’uno si intendeva la forma strofica tradizionale di 14 versi, con l’altro una qualsiasi forma breve di poesia, possibilmente ma non esclusivamente di argomento amoroso. Come altri petrarchisti, e come Balassi, anche Watson fa uso dell’argomentum che posto in cima al componimento, spiega il contenuto delle rime, ma fa anche da raccordo fra le varie poesie della raccolta che si susseguono.

Il contenuto delle poesie mostra ugualmente elementi di similitudine con i versi di Balassi. Ad esempio quando il poeta immagina un dialogo con il proprio cuore:

cambiano i protagonisti (in Balassi era un amico che poneva le domande al poeta, in Serafino Aquilano è la morte che pone le domande sempre al poeta, ecc.), ma la tecnica, anzi le domande sono naturalmente le stesse:

Questa passione è composta a guisa di dialogo, dove l’Autore parla con il suo stesso cuore, che è ora, per comandamento e forza d’amore, miracolosamente, e contro natura, separato dal corpo, per seguire la sua amata, nella speranza di ottenere alfine, per lungo servizio, il suo amore e favore, e attraverso questi di fare di se stesso un tutto con il cuore di lei.

Parla cuore gentile, dov’è la tua dimora?

Con colei che benedetta ha dai cieli la sua nascita;

Che fai là? Talora contemplo il volto, Albergo talora nel seno di cristallo;

(...)

In Balassi:

DIALOGO, IN CUI RAGIONA CON UN AMICO DEL SUO AMORE Sulla melodia Era già il tempo

Mi domandò un amico perché bruciassi tanto, Dissi: al mio antico amore io posso esserne grato, A Venere e al piccolo Cupido che in esso mi han sospinto.

Chi ti diede la vita?

ancor m’interrogò.

Amore e pianto mi han portato al mondo E aggiunsi: la mia balia fu il lamento.

Mi chiese quindi dove io dimorassi, Gli mostrai la mia cella

gremita di pensieri, ché guardasse;

Mi domandò se il pane era il mio cibo, Mio cibo, dissi, è inutile speranza, Lusinghiere parole ingannatrici, bellezza inconquistabile;

E il furore mi insegnò a parlare.

Che vestito portavo, chiese allora, Come coprissi il corpo sofferente, Cruccio e pazienza indosso, gli risposi.

Disse, qui cosa cerchi?

Un’aspra morte, dissi, E replicò, che piangi?

La crudeltà di Julia.

Come vivi, mi chiese:

Come chi è in odio a Julia.

Vivrai così in eterno?

In eterno, risposi.

Conosci la ragione del tuo male?

L’ amore, dissi, e il mio dolor compianse.

Nel mio tormento per amor di Julia, Così risposi a un caro compagno, Nutrendo la speranza di ottenere da Julia il bene nella sofferenza.

Il tema del cuore in pegno presso l’amante (che fa pendant con l’immagine dell’amante scolpita nel cuore del poeta), si trova ad esempio nella poesia alle gru:

Gru a me care,

che ad una stessa ora del mattino volate via garrendo!

Mentre vi guardo, dai miei occhi scorre amaro pianto, ché mi torna in mente La bella amata mia

e il dolor si rinnova.

Io vedo come il volo dirigete Verso il luogo dov’è colei

che il mio cuore felice ha trattenuto.

Di tanto in tanto le sovviene ancora di me che fedelmente l’ho servita?

(...)

Le fonti di Watson e Balassi erano forse le stesse. Il petrarchismo, come altri fenomeni culturali e linguistici, non si diffuse a macchia d’olio, ma come un sistema di onde che si propagano da un centro e poi vengono ripetute e ri-trasmesse da altri centri, e si sviluppa nei diversi spazi geografici e culturali secondo le condizioni storiche, religiose e sociali che incontra. Ciò non vale solo per la forma metrica, ma anche per i generi. Il poeta polacco Grabowiecki, proveniva da famiglia protestante, dopo il 1580 viaggiò in Italia e si fece cattolico, fu seguace del petrarchismo spirituale di Bernardo Tasso e di Gabriele Fiamma e scrisse rime spirituali nello stile di Kochanowski che furono pubblicate a Cra-covia nel 1590 in due volumi. Balassi condivide molto dello stile e del percorso biografico di Grabowiecki e anche alcune immagini ed espressioni poetiche.

Probabilmente però non fu in Italia e nemmeno lesse il Tasso e il Fiamma,

eppure quando leggiamo le sue rime, anche quelle spirituali, respiriamo la stessa aria di petrarchismo.

Di grande rilievo, infine, il compito svolto da Balassi nell’innescare l’interesse per la poesia d’amore in ungherese in un gruppo di epigoni tra i quali oltre a Rimay e Ferenc Wathay (1568-1609), furono Ferenc Batthyány II e Ferenc Wes-selényi, che per i loro corteggiamenti si procurarono un codice con le poesie del maestro e amico.

In document La letteratura degliungheresi (Pldal 54-61)